Il modello italiano di accoglienza diffusa - che ha permesso fino a oggi di assistere e integrare decine di migliaia di persone in fuga da guerre, persecuzioni e miseria, contenendo allo stesso tempo l’impatto sulle comunità locali - rischia oggi di venire completamente smantellato. È l’allarme lanciato da Oxfam.
A farne le spese. Secondo l’organizzazione, non saranno solo i migranti e richiedenti asilo, che si vedranno negati servizi essenziali per il loro processo di integrazione, ma anche migliaia di giovani operatori.
Educatori, operatori legali, mediatori culturali, insegnanti di italiano, psicologi si ritroveranno infatti senza lavoro o dequalificati, con un costo sociale ed economico altissimo per il nostro paese: secondo le stime, potenzialmente oltre 200 milioni di euro in ammortizzatori sociali.
A precisare i contorni del problema il rapporto Invece si può!, lanciato oggi da Oxfam e In Migrazione, attraverso le voci e le esperienze di chi in tutta Italia ha lavorato a progetti di integrazione e accoglienza, proprio nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS). Qui infatti ha trovato ospitalità l’80% dei migranti, qui hanno lavorato oltre 36 mila operatori.
Giovani e qualificati, messi “alla porta” dalle nuove norme
Nei primi 4 mesi dell’anno – secondo i dati di CGIL Funzione Pubblica nazionale– oltre 4.000 operatori hanno perso il lavoro, numero che potrebbe arrivare a 15.000 nel corso dell’anno, via via che scadranno i bandi di assegnazione in vigore: si tratta di giovani con un’età media di 35 anni, laureati e qualificati, che vanno ad aggiungersi almeno in parte al 15,1% di disoccupati italiani tra i 25 e 34 anni, secondo gli ultimi dati Istat.
A questo si aggiunge il taglio del cosiddetto “indotto”, rappresentato, ad esempio, dai corsi di formazione professionale erogati da agenzie per il lavoro, dai servizi legali forniti da avvocati, dai servizi di mensa per i centri di maggiori dimensioni, e soprattutto dagli affitti degli appartamenti dove i migranti, secondo la logica dell’accoglienza diffusa, venivano accolti in piccoli gruppi nei comuni italiani.
“Con i nuovi bandi gli operatori saranno ridotti a fare i guardiani, limitandosi a controllare la distribuzione del vitto e gli orari di ingresso e uscita dei ragazzi- racconta Maria Grazia Krawczyk, responsabile dei CAS di Oxfam a Siena – Tutti i servizi necessari per garantire un’integrazione dignitosa sono di fatto tagliati. Per me e per i tanti colleghi che hanno lavorato con impegno e passione lavorare in questo modo è impensabile. Anche per questo tante organizzazioni, come Oxfam, non stanno partecipando ai bandi”.
I servizi tagliati con la legge Salvini
Le ore di assistenza psicologica - rivolta a persone che nella maggioranza dei casi hanno subito torture e abusi indicibili nei “lager” libici – vengono ridotte a zero. Nel 2018 erano 12 nei centri fino a 50 posti e 24 in quelli fino a 300.
Azzerati anche i corsi di italiano e più che dimezzati i servizi di mediazione culturale e assistenza legale o di informazione sui propri diritti.
Tutti elementi indispensabili ai richiedenti asilo, anche solo per presentarsi e rappresentare il proprio caso di fronte alla Commissione territoriale, che decide sul riconoscimento dello status di rifugiato nelle sue diverse forme.
Tagliata poi ogni possibilità di formazione, anche quella mirata all’inserimento lavorativo.
Solo i grandi centri saranno sostenibili
A fronte della riduzione dei contributi dati per l’accoglienza del singolo richiedente asilo, il prezzo minore sarà pagato dai centri di grandi dimensioni, proprio quelli dove, in passato, si sono verificati malversazioni e abusi.
Nei centri di accoglienza fino a 300 posti, infatti, i tagli complessivi saranno solo del 28%, a fonte di quasi il 40% previsto per i piccoli appartamenti di accoglienza diffusa.
Ad esempio, la Prefettura di Roma stabilisce, con i nuovi bandi, un pro capite pro die di 21,35 euro per l’accoglienza diffusa in appartamenti, e di 26,35 euro per i centri di maggiori dimensioni.
“Siamo di fronte a tagli ai finanziamenti che non sono “orizzontali”, ma commisurati al numero di persone accolte in ogni struttura e alla “tipologia” di accoglienza realizzata – sostiene Marco Omizzolo di In Migrazione - Al contrario delle aspettative, per cui tanto più un centro è grande, tanto dovrebbe pesare la scure sul finanziamento, chi pagherà di più il prezzo di questi tagli saranno coloro che propongono l’accoglienza diffusa, cioè ospitalità in singoli appartamenti in distinte unità immobiliari”.
“Una modalità molto positiva di accoglienza che caratterizza da anni una buona parte dei centri SPRAR e che sui territori veniva sempre più sviluppata anche in molti CAS virtuosi”.
L’appello al Governo: urgente annullare i nuovi bandi
Le nuove norme di fatto demoliscono l’attuale sistema di accoglienza diffusa, un modello virtuoso e capace di garantire l’integrazione di migranti e rifugiati sbarcati sulle coste italiane e la positiva interazione con le comunità ospitanti. Ciò avviene mentre in Libia la guerra civile in corso - oltre a mettere ancora più rischio la vita dei migranti intrappolati nei centri di detenzione - potrebbe causare la partenza di circa 200 mila persone nei prossimi mesi (secondo le stime dell’Organizzazioni Mondiale delle Migrazioni – OIM).
“In questo modo rischiamo di perdere un bagaglio straordinario di esperienze, compromettendo definitivamente un modello di buona accoglienza. Il rischio è quello di creare veri e propri “ghetti”, in cui abbandonare a sé stesse persone che, dopo essere state costrette a lasciarsi tutto alle spalle, chiedono la possibilità di ricostruirsi una vita dignitosa – conclude Giulia Capitani, policy advisor per migrazione e asilo di Oxfam Italia – E, nel farlo, si lasciano per strada migliaia di giovani lavoratori”.
“Chiediamo perciò al Ministero dell’Interno di rivedere al più presto i capitolati di spesa relativi ai bandi per i centri CAS, la cui base d’asta risulta sottostimata e incongrua, e alle Prefetture di annullare i nuovi bandi”.
“Chiediamo inoltre al Ministero del Lavoro di aprire subito un tavolo di concertazione con i sindacati e altre forme di rappresentanza organizzata per affrontare la questione della perdita dei posti di lavoro degli operatori dell’accoglienza e delle misure di sostegno da attivare”.