Era il 1935 quando la Editrice Giochi portò il Monopoli in Italia, con la “i” e non con la “y”, questo perché in pieno regime fascista quell’americanizzazione del nome non sembrò appropriata, così dal suo significato in riferimento al concetto di Monopolio venne accostato, spostando l’accento sulla seconda “o”, al comune pugliese di Monopoli, che con le origini del gioco non c’entra nulla.
Da allora le versioni sono state innumerevoli: da quella in onore della nascita dell’Euro a quella dedicata alla Ferrari, da quella di Topolino a quella Empire dove ogni casella corrisponde a una marca famosa, da quella di Star Wars a quella portatile, fino ad una ambientata nel mondo di Jurassik Park ed un’altra interamente dedicata alla Juventus. Un successo mondiale per un gioco da tavola che, secondo il libro dei Guinnes, è giocato ogni anno da 500 milioni di persone.
Un gioco che ha radici ben più antiche e che venne ideato da Elizabeth Magie per spiegare la teoria dell’imposta unica di Henry George, un economista del quale era grande fan. Parliamo del 1903 quindi la distribuzione era quella che era, così servirono più di vent’anni alla Magie per far si che le venisse attribuito il brevetto, per il quale dovette entrare in causa con Charles B. Darrow, un ingegnere disoccupato che ai tempi sviluppò e vendette alla casa editrice Parker Brothers una sua personalissima versione del gioco. Vecchie storie, sta di fatto che Monopoly (tornato nella versione “y” da quando la Hasbro circa dieci anni fa si è reimpossessata della distribuzione italiana) ha accompagnato la vita di quasi tutto il mondo diventando il gioco da tavolo più famoso della storia.
Attenzione, quasi tutto il mondo, perché in Russia, essendo considerato una sorta di corso accelerato per giovani capitalisti, dovettero aspettare la caduta dell’Unione Sovietica per averne una loro versione in cirillico; ancora oggi, per le stesse ragioni, Monopoly è vietato a Cuba.
Le polemiche per il nuovo Monopoly per millennials
E dunque, attraversando ogni singolo momento della storia moderna, non poteva che nascere oggi una nuova versione del gioco: Monopoly for Millennials. Rich Uncle Pennybags, la mascotte che dal 1936, grassoccio, baffuto e sorridente, ispira i giocatori vestito con frac e cilindro, disegnato dall'artista Dan Fox, oggi porta occhiali da sole a specchio, tiene in una mano un caffè da asporto e nell’altra un cellulare pronto per un selfie, e il suo slogan non inneggia all’opulenza ma, al contrario, a divertirsi con quel poco che si ha, infatti l’edizione viene venduta con lo sciagurato spot che recita “Dimentica gli immobili. Tanto non te li puoi permettere”.
Una battuta, è chiaro, ma che sta facendo infuriare e non poco i nuovi adepti. In questa nuova visione del gioco infatti non si accumulano soldi ma “punti esperienza”. Ti fermi a cenare in un ristorante vegano? Ottieni un tot di punti. Dormi sul divano di un amico? Altri punti. Non più un cilindro o una candela per pedine ma emoticon e hashtag. Le tue “Probabilità”? “Hai sentito qualcosa che ti offende. Vai e lamentati sui social media. Raccogli 50 retweet”; i tuoi possibili “Imprevisti”? “La tua prova di web-streaming scade.
Paga alla banca $40”. Divertente secondo la casa di editrice, molto meno per chi quella vita la sta vivendo davvero, infatti secondo l’Indipendent i commenti sono sprezzanti di fastidio: “Sono deluso che Hasbro abbia prodotto questa spazzatura” dice un utente su Facebook, “Un gioco che trae profitto dalle schiene dei millennial mentre li prende in giro simultaneamente?” fa eco un altro su Twitter, piccole scosse che hanno formato un vero e proprio terremoto.
Tant’è che la Hasbro ha ritenuto opportuno intervenire sostenendo che “Abbiamo creato Monopoly for Millennials per offrire ai fan un gioco spensierato che consente ai Millennial di prendersi una pausa dalla vita reale e ridere delle esperienze e delle etichette che a volte possono essere messe su di loro”. Se da qualche parte c’era una battuta il target al quale è riferito il gioco evidentemente non l’ha capita.