Il 9 maggio del 1997, intorno alle 11:42, Marta Russo, studentessa di 22 anni di Giurisprudenza, viene colpita alla nuca da un proiettile calibro 22. Stava passeggiando con l’amica Jolanda Ricci in un vialetto della città universitaria della Sapienza di Roma.Trasportata in coma al Policlinico Umberto I, morirà quattro giorni dopo, in seguito alla decisione dei genitori di 'staccare la spina' e permettere ai medici di effettuare l’espianto degli organi, seguendo un desiderio espresso dalla figlia qualche tempo prima. La giovane età della vittima e il luogo del delitto, fanno subito dell’omicidio un caso mediatico. Ai funerali all'ateneo parteciperanno Romano Prodi, Walter Veltroni, Luciano Violante e Luigi Berlinguer. Mentre Papa Giovanni Paolo II invierà un messaggio. Chi sparò a Marta Russo? Sei anni dopo il delitto il dottorando di Filosofia del Diritto, Giovanni Scattone, verrà condannato in via definitiva per omicidio colposo aggravato a 5 anni e 4 mesi, mentre il collega Salvatore Ferraro a 4 anni e due mesi per favoreggiamento. Entrambi si diranno sempre innocenti.
L'arma del delitto non fu mai trovata
Sono passati 20 anni. Sin dalle prime ore dopo il delitto le indagini si rivelarono molto complesse, soprattutto alla luce della mancanza del movente e dell’arma, che non verrà mai ritrovata. Il 24 maggio risultavano indagate 40 persone tra studenti e docenti dell’Istituto di Filosofia del Diritto. Qualche giorno prima, infatti, dalle analisi della polizia scientifica erano emerse “tracce significative” di polvere da sparo sul davanzale della finestra dell'aula 6 dell'Istituto di Filosofia del Diritto della facoltà di Scienze Politiche. Una scoperta che spostò l’attenzione dal bagno per i disabili del piano sottostante. Dopo 70 udienze, il primo giugno 1999, la Corte d’Assise condannò Giovanni Scattone a 7 anni di reclusione per il reato di omicidio colposo e comminò 4 anni di reclusione a Salvatore Ferraro per favoreggiamento personale.
I due sono ricorsi in appello. Il 15 dicembre 2003, la V sezione penale della Cassazione condannò definitivamente Scattone a 5 anni e 4 mesi di reclusione; Ferraro a 4 anni e 2 mesi. Pene scontate dai due uomini.Alibi deboli e testimonianze contradditorie
A inchiodare i due dottorandi furono i loro alibi deboli e due testimonianze fragili e contraddittorie: una della segretaria Giovanna Alletto – che per 13 interrogatori negherà di essere stata nell’aula 6 la mattina del delitto e poi cambierà idea - e l’altra della dottoranda Chiara Lipari. Nel corso della vicenda, la magistratura e la stampa descrissero Ferraro e Scattone come due ragazzi dalla personalità disturbata, con manie di grandezza e tendenze omicide, che avevano voluto inscenare un “delitto perfetto” senza movente. Una tesi negata dai due indagati e poi smentita anche dalle testimonianze di studenti e professori.