Protagonista di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo - rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell'acido dopo 779 giorni di prigionia - Matteo Messina Denaro secondo molti inquirenti non sarebbe il capo di Cosa nostra ma sicuramente continua a rivestire un ruolo di assoluto rilievo: la rivista "Forbes" lo ha incluso tra i dieci latitanti più pericolosi del mondo.
Difficile distinguere il vero e il falso in quello che di lui raccontano informatori e pentiti: che, beffando chi lo bracca da anni, vivrebbe in Sicilia, spostandosi di continuo; che si sarebbe sottoposto in Bulgaria (o in Piemonte) a una plastica ai polpastrelli e al viso; che avrebbe seri problemi agli occhi e ai reni, tanto da aver bisogno della dialisi; che godrebbe della protezione dalla 'ndrangheta.
Di volta in volta, c'è chi lo ha collocato sulle tribune del "Barbera" per un Palermo-Sampdoria, chi su una spiaggia greca, in vacanza con la compagna Maria, chi in una casa di Baden, in Germania. "Non so se a breve o a brevissimo, ma al suo arresto si arriverà certamente", ha assicurato pochi giorni fa il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho.
Nel frattempo, la caccia continua. A lui come a Giovanni Motisi, "u pacchiuni", "il grasso", 59 anni, palermitano doc, ricercato dal '98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage: due anni fa è finito anche nella lista dei criminali più ricercati dall'Europol. Ha l'ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa.
Nel '99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da 'postini' fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l'ultima 'apparizione' certa in Sicilia di "u pacchiuni", alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto - ricorrente nelle grandi latitanze - che Motisi possa essere morto. Un'altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l'esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi 'persè la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d'anni si nascose nell'Agrigentino, 'terra' di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia.
Di Marco Di Lauro, 38 anni a giugno, ricercato dal 2005 per associazione di tipo mafioso, gira invece una sola foto ufficiale, quella con la faccia da bravo ragazzo, "invecchiata" due anni fa dalla polizia con il software di age progression: del resto, ha appena 24 anni quando sfugge alla "notte delle manette", maxi blitz delle forze dell'ordine. Numero due della lista del ministero dell'Interno, il latitante di camorra più ricercato al mondo è stato indicato da un pentito come mandante di quattro omicidi.
Quarto figlio del boss Paolo, detto "Ciruzzo ò milionario" (per questo nel libro mastro degli stupefacenti viene indicato con la sigla F4, dove F sta appunto per figlio), scala le gerarchie del suo clan giovanissimo e sfrutta il suo talento di calciatore per attirare e affiliare giovanissimi 'soldatì: di lui dal luglio 2013 si occupano anche gli 007 a stelle e strisce per presunti affari poco chiari a New York.
Le voci sono tante e tanto discordanti dallo sconfinare nella leggenda: una villa nel Vesuviano per summit e incontri; l'amore per una donna legata a un clan di Torre Annunziata; il debole per i motori e le scarpe griffate; la capacità di nascondersi, all'occorrenza, sotto abiti e parrucche da donna; l'intervento di plastica facciale. Dopo un periodo a Dubai, si sarebbe spostato in Slovenia, o in Grecia, o più probabilmente in Francia: ma senza mai rinunciare a puntate sporadiche a casa, a Secondigliano. Pronto a riprendersi la sua fetta di "Gomorra".
Anche di Attilio Cubeddu, l'"ultimo bandito" dell'Ogliastra non ci sono più tracce da tempo, e anche di lui si dice che sia passato a miglior vita, forse ucciso. Nato nel 1947 ad Arzana, in provincia di Nuoro, brucia le tappe della carriera criminale e partecipa in Toscana ed Emilia Romagna ai rapimenti di Cristina Peruzzi, Ludovica Rangoni Machiavelli e Patrizia Bauer: arrestato nell'aprile dell''84 a Riccione e condannato a 30 anni, si guadagna diversi permessi premio con la sua condotta da detenuto modello.
Peccato che il 7 febbraio del '97 al carcere di Badu 'e Carros attendano invano che rientri da uno di questi permessi: e da latitante cede presto al vecchio 'vizietto', restando coinvolto nel sequestro di Giuseppe Soffiantini (è lui il custode dell'ostaggio). È ricercato in campo internazionale, ma chi tuttora gli dà la caccia è convinto che viva protetto dalla sua terra e da una rete di fiancheggiatori: la moglie 62enne e la seconda figlia abitano ancora nella casa di Arzana confiscata poche settimane fa dal Ros, un edificio di quattro piani che nel febbraio di un anno fa era stato passato al setaccio dallo stesso Ros, insieme con altri due appartamenti del paese. Cercavano Cubeddu, i carabinieri. E si cercano i vivi, non i morti.