The Guardian anni fa l’aveva definita “attrezzatura fantasma”, era il 2015 e reti, lenze e armamentari vari relativi alla pesca industriale erano già un problema. A certificare che a distanza di qualche anno quel problema, invece di risolversi, si moltiplica è un rapporto diffuso da Greenpeace.
Louisa Casson, responsabile della campagna per gli oceani nella filiale britannica dell’organizzazione ambientalista, ha dichiarato: “L'attrezzatura fantasma è una delle principali fonti di inquinamento plastico oceanico e influisce sulla vita marina nel Regno Unito tanto quanto in qualsiasi altro luogo”. I numeri effettivamente sono sconcertanti: sono infatti circa 640 mila le tonnellate di materiale per la pesca abbandonate in mare, pari a 55 mila autobus a due piani.
L’anno scorso, a largo della costa di Oaxaca, in Messico, sono state trovate morte 300 tartarughe marine, rimaste impigliate, soffocate o comunque uccise dall’ “attrezzatura fantasma”. Prosegue la Casson “Le reti possono rappresentare una minaccia per la fauna selvatica per anni o decenni, portandosi dietro tutto, da piccoli pesci e crostacei a tartarughe, uccelli marini e persino balene in via di estinzione. Diffondendosi nell'oceano tramite maree e correnti, gli attrezzi da pesca persi e scartati ora vanno alla deriva sulle coste dell'Artico, si lavano sulle remote isole del Pacifico, si intrecciano sulle barriere coralline e sporcano i fondali marini”. L’attrezzatura da pesca abbandonata in mare rappresenta il 10% dell’inquinamento da plastica degli oceani, percentuale che si alza fino al 70% per quanto riguarda il peso delle macroplastiche (quelle superiori ai 20cm).
Poco tempo fa è stata rintracciato un accumulo di plastica nel Nord del Pacifico, le cosiddette isole di rifiuti galleggianti, e conteneva 42 mila tonnellate di attrezzatura fantasma. In un’altra spedizione nel Sud del Pacifico, in un tratto della spiaggia dell’isola disabitata di Henderson lungo 2,5 km, sono state trovate 18 tonnellate di rifiuti della pesca industriale. Nel rapporto di Greenpeace si legge che il danno ambientale in questione è dovuto a “La scarsa regolamentazione e il lento progresso politico nella creazione di santuari oceanici che sono vietati alla pesca industriale”. Greenpeace chiede che le Nazioni Unite forniscano un quadro globale per la protezione dei mari, aprendo la strada a una rete globale di santuari oceanici che coprono il 30% degli oceani del mondo entro il 2030.