“Era il 1955. Appena superato il confine mia madre si mise a piangere. Con noi c’era anche mia nonna. Siamo state costrette ad andarcene da casa nostra che si trovava al confina tra la zona A e la zona B. La vita di prima era finita con un taglio violento”, racconta all’Agi Silvia Zetto Cassano, classe 1945, esule istriana all’età di dieci anni.
“Come molti degli esuli, dopo un periodo in una baracca di un campo profughi, con tanta buona volontà e tenacia ci siamo rimboccati le maniche per ricominciare, ricucire i fili spezzati dalla storia. Per mia nonna 70enne e mia madre 40enne non c’era molto da fare, il dolore non si è mai ricomposto. Mia madre ha investito tutto sui figli. Noi che apparteniamo alla seconda generazione ci siamo sentiti in dovere di raccontare la nostra storia in maniera tale che ci fosse rispetto per tutto il dolore precedente, affinché non venisse usato come arma contro questo o quello. È un lavoro di ricucitura molto lungo. Per alcuni la ferita è ancora aperta, non si potrà mai rimarginare”, prosegue Zetta Cassano, storica e autrice di “Foresti”, che nel 2017 ha vinto il premio Matteotti della Presidenza del Consiglio.
Cosa successe veramente
Zetto Cassano tiene a far chiarezza su alcuni punti controversi nella narrazione dell’esodo, che ha vissuto in prima persona. “È vero che nell’immediato dopoguerra c’è stato un periodo di rimozione, anche perché le nostre energie dovevamo impiegarle per ricominciare, per ricostruirci una vita. Del resto tutti i lutti hanno bisogno di tempo per essere elaborati, guardate ad esempio la Shoah. Quindi non è stata una storia occultata volutamente. Ma già dagli anni 80’ vengono pubblicati libri di vario genere sull’argomento, sia storie di famiglie che documentazione scientifica alla quale gli studiosi stanno avendo accesso”.
Guardando al passato, Zetto Cassano parla di “comunità spezzate, sparpagliate in tutta Italia, da Torino alla Sardegna”, di condizioni di vita quotidiana davvero difficili. “Oggi ancora diverse associazioni alimentano un racconto di sofferenza, di rancore, si lamentano che lo Stato italiano non ci ha aiutato. Rispondo che non è così. La storia per capirla bisogna guardarla anche col grand’angolo, i soli zoom hanno i loro limiti”, spiega la storica.
Nel dopoguerra l’Italia tutta era a terra mentre in Europa decine di altri popoli erano stati costretti alla fuga. “Negli anni ’50 abbiamo ricevuto aiuti per ritrovare una casa fuori dai campi, un lavoro. Nel tempo poi siamo riusciti a ricomporre un legame tra Trieste e l’Istria. Chiaramente questi aiuti dello Stato ci attiravano le critiche di altri italiani altrettanto deboli e stremati dal conflitto, creava malumore”, dice ancora Zetto Cassano.
“Oggi come ieri. I discorsi che si sentono oggi sull’immigrati, noi esuli istriani li abbiamo sentiti. Ecco perché ho chiamato il mio libro ‘Foresti’ che nel nostro dialetto significa uno di fuori, arrivato qui mentre poteva starsene a casa. I profughi erano un problema del dopoguerra in tutta Europa, e costano molto, ecco perché sentiamo certe parole ancora oggi”, sottolinea la studiosa istriana.
Preoccupazione per il clima di oggi
Guardando invece al presente, Zetto Cassano confida all’Agi tutta la sua “preoccupazione per il clima che respiriamo, per alcuni fatti che si stanno verificando dalle nostre parti, ma non solo. Un’aria nera che si aggira sopra le nostre teste e rischia di azzerare un lento e faticoso percorso di riconciliazione con il nostro passato, con i nostri vicini sloveni”.
“Lo scorso anno a Trieste è riaffiorata la parola anti-fascismo durante un affollato contro corteo in risposta ad un raduno di CasaPound. Altri episodi avvenuti localmente rappresentano segnali preoccupanti per il prosieguo di rapporti pacificati tra italiani stabiliti in Italia, quelli rimasti lì e i vicini sloveni. Stanno riaffiorando strumentalizzazioni politiche del passato, vecchi fantasmi di 70 anni fa” riferisce ancora l’interlocutrice.
Oggi alle commemorazioni di Basovizza sono attesi Matteo Salvini e Antonio Tajani. “Di solito le commemorazioni sono pacifiche e pacate. La presenza qui di alcune personalità politiche, l’uscita di un film come ‘Red Land’ non sono secondo me di buon auspicio, visti i tempi convulsi che stiamo vivendo. Tutto ciò non favorisce la riconciliazione tra ricordi diversi che meritano rispetto reciproco. Da queste parti sappiamo bene cosa è stato e cosa ha fatto il fascismo, sulla nostra pelle e su quella degli sloveni. La storia non si deve ripetere”.