“Non esiste l’impossibile per gli Alpini”, dice Sergio Rizzini, direttore generale della Sanità Alpina e coordinatore del progetto del grande ospedale che sorgerà all’interno della Fiera di Bergamo. Non chiamatelo ospedale da campo però, perché quello che stanno realizzando le penne nere sarà una struttura di cura a tutti gli effetti; pensata per curare una sola patologia, il Covid-19, e destinata a durare “almeno 6 mesi”.
L'ospedale in cui gli Alpini combattono contro il coronavirus
Orgoglio a parte, la sfida è ardua davvero: costruire un ospedale da 142 posti, completo di terapie intensive e rianimazione, unità radiologica, Tac fissa e mobile, impianto di ossigeno, stanza di decontaminazione, maceratore per i dispositivi sanitari usa e getta, e camere mortuarie. In 8 giorni.
Nemmeno a Wuhan hanno osato tanto: “Questo è un ospedale vero e tecnologico: non ci saranno pazienti nei letti a castello”, fa notare Rizzini.
Seimilacinqucento metri quadri, più mille fra spogliatoi e aree di servizio; quattro chilometri di fili; un impianto di areazione che permetterà la decontaminazione dell'aria al 100 per cento. Sulla porta d'ingresso della Fiera sono stati posti degli adesivi con una croce rossa e un cappello da Alpino al centro, simbolo dell'associazione nazionale che raccoglie tutte le penne nere italiane, in particolare quelle del Gruppo intervento medico-chirurgico a cui sono affidati i lavori. All'ingresso, prima dei tornelli, chiunque entri, muratori compresi, viene sottoposto al controllo della temperatura.
"Puntiamo a una riduzione del rischio di contagio del 98% - spiega Rizzini - Perché le equipe di medici e infermieri sono una forza finita: dobbiamo preservarla”. Gli ospedali tradizionali non possono garantire questo livello, infatti i sanitari sono quasi il 12% dei positivi totali. Il motivo è che "sono sovraffollati e con spazi stretti: hanno dovuto ricavare letti anche dovunque, anche in reparti non attrezzati”. In Fiera invece i corridoi sono larghi: l'architetto Paolo Varetti (anche lui volontario e 'penna nera’) che ha progettato il tutto a tempo record ha pensato “al distanziamento sociale e alla movimentazione dei letti; con un percorso per medici e operatori a senso unico con due aree di decontaminazione". Zona verde, zona gialla e zona rossa e una stanza con lampade a infrarossi battericidi. È lì che i medici dovranno passare prima attraversare la struttura, e prima ancora dovranno fare una doccia
Sopra i letti non ci sono soffitti chiusi; ad ogni angolo lavandini e liquido sanificante raddoppiato rispetto a quelli di un ospedale normale. Gli stessi impianti idraulici sono stati realizzati a muro, bensì in intercapedini larghe per consentire al manutentore di ridurre al minimo i tempi di intervento.
L'ospedale, infine, avrà un grande maceratore dove mascherine e camici, consumati in quantità "saranno ridotti in minuscoli pezzettini e poi smaltiti in modo adeguato”. Nel parcheggio esterno, oltre ai gruppi elettrogeni, le "camere mortuarie refrigerate", per il momento più duro: "È giusto dare la riservatezza a chi perde un parente. Tutti hanno diritto ad un'attenzione dignitosa" osserva Rizzini.
Le apparecchiature sono state acquisite quasi tutte grazie alle donazioni di famiglie e industriali bergamaschi: "Ognuno ha comprato autonomamente quanto ci serviva in base alle nostre richieste - spiega ancora Rizzini - e tutto sarà rendicontato. Ma il buon nome di 100 anni di storia è già una garanzia". In aiuto sono arrivate anche associazioni di volontariato come il Cesvi, che ha fornito un macchinario mobile per la Tac. "Alcune di queste apparecchiature rimarranno poi all’ANA (Associazione nazionale alpini), che potrà adoperarle nell'ospedale da campo leggero e anche in quello "maggiore, che viene montato durante le adunate".
Se oggi lavorano 24 ore su 24 tre squadre di maestranze da un centinaio di persone, quando l’ospedale sarà aperto “saranno in servizio 150 sanitari al giorno, tra medici, infermieri, tecnici e operatori”. Oltre al personale volontario degli Alpini, sono arrivate 32 equipe da 4 sanitari ciascuna di russi, con medici e infermieri. E si aggiungeranno i camici di Emergency, che hanno lottato contro l’Ebola in Africa. Le equipe russe usufruiranno dell'aiuto di due medici russi madrelingua che lavorano da molti anni all'interno dell'ospedale pubblico bergamasco e che serviranno da collegamento tra i reparti. Per facilitare il lavoro si pensa di dedicare due ali della grande struttura alla cura delle squadre provenienti da Mosca, con la supervisione della direzione sanitaria, affidata all’alpina Federica De Giuli