La "quarta mafia", operante nel Foggiano, ha "aperto una vera e propria sfida allo Stato", come dimostrano gli episodi più recenti, ma "come Cosa Nostra si è indebolita dopo aver ingaggiato la sua sfida allo Stato, altrettanto avverrà in questo caso, perché si è compreso che si tratta di una mafia da debellare. Dallo Stato c'è una linea aggressiva che darà i propri frutti". Così il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, analizza con l'AGI la situazione che emerge a Foggia e nella sua provincia.
"In passato - rileva - nello stesso territorio ci sono state situazioni simili, analoghe, a quella odierna, ma si è scambiata l'operatività di una mafia sanguinaria e feroce con semplici contrapposizioni tra bande criminali e si è ritenuto il fenomeno non così allarmante, a differenza di quanto si sta facendo oggi: ora l'attenzione è cresciuta molto, e quello che si sta facendo è quello che ci vuole".
Il capo della Dna, in particolare, sottolinea con favore l'invio di altre forze dell'ordine, come disposto dal ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, e osserva che "chi è incaricato di operare in quei territori è particolarmente esperto nell'ambito del contrasto alla criminalità organizzata": anche le iniziative della società civile, "con cittadini che chiedono una repressione forte da parte dello Stato", sono "importanti - afferma de Raho - per tenere viva l'attenzione".
Della 'quarta mafia', ricorda il magistrato, "si parla ormai da almeno quattro anni": si tratta di una "mafia feroce, aggressiva e violenta, che usa le armi non solo per piegare le vittime di estorsione per pagare il pizzo, ma anche per contrastare gli altri clan sul territorio". A differenza delle altre mafie, "non utilizza la strategia dell'inabissamento, ma la violenza feroce": "La vittima - dice de Raho - deve non solo essere uccisa, ma scomparire dal ricordo della gente, e questo spiega come, nei casi di omicidio, si riscontrino vari colpi inferti al volto".
Nel Foggiano, inoltre, una caratteristica dei clan "è quella, come nella 'ndrangheta, di essere composti da soggetti che appartengono alla stessa famiglia: il vincolo di sangue - spiega il capo della Direzione nazionale antimafia - fa si' che ci sia una particolare chiusura verso l'esterno e, quindi, una forte difficoltà a trovare persone disponibili a parlare. Non ci sono collaboratori di giustizia e i rapporti del clan sul territorio sono tali da proiettarsi verso varie forme di economia, tendendo ad acquisire spazi nel settore agroeconomico in particolare, ma anche legami con l'amministrazione pubblica". Alcune inchieste, conclude il magistrato, "hanno mostrato familiari di mafiosi assunti in vari Comuni o favoriti nelle certificazioni per partecipare ad appalti".