Dopo la reprimenda contro i telefonini in chiesa, Papa Francesco vieta la vendita di sigarette in Vaticano. Un divieto deciso da lui in persona che scatterà nel 2018, per lo sconforto dei dipendenti della Santa Sede che oggi possono approvvigionarsi di stecche esentasse entro le mura e magari regalarle ad amici e parenti che non godono di questo privilegio. "Il motivo è molto semplice: la Santa Sede non può cooperare con un esercizio che danneggia chiaramente la salute delle persone", ha spiegato il direttore della sala stampa vaticana, Greg Burke, "secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno il fumo è la causa di più di sette milioni di morti in tutto il mondo. Le sigarette, vendute ai dipendenti e pensionati del Vaticano a un prezzo scontato, erano fonte di reddito per la Santa Sede. Tuttavia, nessun profitto può essere legittimo se mette a rischio la vita delle persone". Eppure, ricorda un articolo del Corriere, fu un porporato a introdurre nella penisola quest'erba giunta dal Nuovo Mondo: il cardinale Prospero Santacroce, nunzio a Lisbona, che lo portò in Italia nel XVI secolo dopo averlo conosciuto grazie a un diplomatico francese, Jean Nicot, il cui cognome battezzerà l'alcaloide contenuto nel tabacco, la nicotina appunto. E i primi a coltivarla sul suolo patrio furono i monaci cistercensi, che lo seminavano nelle campagne romane.
Il tabacco si diffuse presto nello Stato Pontificio, tanto che dense nuvole di fumo ammantavano persino le funzioni religiose. "Papa Urbano VIII arrivò a minacciare la scomunica nel 1624 e fu costretto, come il successore Innocenzo X, a vietarne l’uso a San Pietro", ricorda il quotidiano, "subito dopo, però, fu Alessandro VII a creare il primo monopolio di tabacco in Europa, nel 1655, con una «privativa» che assegnava la produzione ai fratelli Michilli, in Trastevere. Nel 1742 un altro Papa, Benedetto XIV, faceva costruire una nuova fabbrica pontificia di tabacco affidandone il progetto a Luigi Vanvitelli, l’architetto della reggia di Caserta. A Pio IX si deve invece, nel 1860, la costruzione della grande Manifattura che riuniva tutti gli impianti romani nell’attuale piazza Mastai".
"Se fosse un vizio, eminenza, lei lo avrebbe"
Dal vizio non furono immuni diversi papi. Il Corriere ricorda "l’aneddoto di Pio IX, che amava fiutare tabacco; ne offrì un poco ad un cardinale che declinò dicendo «santità, non ho questo vizio». Si racconta che Papa Mastai non l’abbia presa bene: «Se fosse un vizio, eminenza, lei lo avrebbe». San Giovanni XXIII era un blando fumatore, almeno da monsignore e cardinale, una foto ai tempi della nunziatura di Parigi lo ritrarre con una sigaretta fra le dita". E a riprova che il tabacco non è un ostacolo verso la santità, il quotidiano cita i casi di san Giuseppe da Copertino, che lo vide come un palliativo per resistere alle tentazioni della carne, e di Padre Pio, che non disdegnava il tabacco da fiuto. E i capannelli di fumatori sono uno scenario ai quali si assiste anche nei conclavi. "Al conclave che elesse Giovanni Paolo I, nell’agosto del 1978, il cardinale di Madrid Vicente Enrique y Tarancón, fumatore incallito — morirà nel ‘94, a ottantasette anni — si portò una scorta adeguata di sigarette, si sa mai quanto possa durare - ricorda ancora il Corriere - dopo l’elezione, chiese il permesso di accenderne una. Papa Luciani ci pensò su e infine rispose: Lei può fumare, eminenza, ma ad una condizione: che il fumo sia bianco!".