Non c'è pace per l'Ama, la grande municipalizzata romana dedicata prevalentemente alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti. Con le dimissioni dell'intero Cda, è la quarta volta che la governance aziendale salta in poco più di 3 anni. A metà 2016, quando la sindaca Virginia Raggi si insedia, a guidare l'Ama è Alessandro Solidoro, nominato dal prefetto Tronca, rimosso per fare posto ad Antonella Giglio. Alla fine del 2017 diventa presidente Lorenzo Bagnacani, che rimane in carica meno di un anno e mezzo. A giugno di quest'anno il nuovo Cda presieduto da Luisa Melara, durato quindi poco più di 100 giorni, fino alle dimissioni in blocco annunciate oggi.
Una crisi profonda che affonda le sue radici nella questione contabile. L'ultimo bilancio di Ama approvato, infatti, risale addirittura al 2016. Sul successivo è in corso una partita politico-giudiziaria, che negli ultimi mesi ha portato prima alle dimissioni del vecchio Cda dell'azienda e poi all'apertura di un fascicolo di inchiesta da parte della Procura di Roma, fino alle dimissioni odierne. Un contenzioso che al momento blocca il via libera anche del bilancio 2018.
Nonostante ormai sia datato, l'ultimo documento contabile fotografa bene la struttura della partecipata, di proprietà al 100% del Campidoglio, che si occupa dei rifiuti di Roma. Ovvero dell'azienda chiamata a gestire in prima linea la crisi di raccolta e smaltimento che la città vive ormai da alcune settimane, a causa della minore possibilità di conferimento, circa 500 tonnellate in meno al giorno, in due dei 3 Tmb cittadini, quelli situati a Malagrotta.
L'Ama ha circa 7.800 dipendenti, un debito stimato oltre 1 miliardo, ed ogni anno spende oltre un terzo del valore della produzione aziendale, in totale oltre 800 milioni di euro, per pagare stipendi. Una cifra, nel 2016 pari a 360 milioni di euro, superiore a quella utilizzata per finanziare il servizio erogato dall'azienda. Una dinamica simile a quella di Atac, l'azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico, dove il costo del personale occupa addirittura la metà del valore della produzione annuale.
La disputa sul bilancio
Proprio la questione del bilancio Ama era stato al centro di un'inchiesta dell'Espresso dello scorso aprile, dove venivano riportati gli audio di due conversazioni intercorse lo scorso autunno tra la sindaca di Roma e Bagnacani, che ha consegnato un esposto in procura. I dialoghi si riferiscono al dissidio, che si è protratto per oltre un anno e si è concluso a febbraio, come detto, con il licenziamento di Bagnacani, tra la prima cittadina M5s, i suoi manager di fiducia e il vecchio vertice di Ama per arrivare all'approvazione, mai avvenuta, del bilancio 2017 dell'azienda.
La disputa riguarda una partita contabile da 18 milioni di euro legata a dei crediti sui servizi cimiteriali richiesti dalla società partecipata al Comune, che però non ne riconosce la legittimità. Per mesi il contenzioso si è protratto a colpi di lettere del collegio sindacale di Ama e tentativi di accordo tra le parti, poi il 6 dicembre 2018 l'azienda aveva approvato il progetto di bilancio, inserendo la passività di 18 milioni nel fondo passivita' del documento contabile relativo al 2017.
La contesa non si è chiusa e l'8 febbraio scorso la giunta ha bocciato il progetto di bilancio Ama per il 2017, con successive dimissioni dell'assessore all'Ambiente Pinuccia Montanari. La settimana successiva la Raggi aveva avviato la revoca del cda di Ama, sostituito pro tempore il 28 febbraio dall'ex direttore operativo Massimo Bagatti, fino alla nomina di Melara. Il versante giudiziario della vicenda vede il direttore generale del Campidoglio, Franco Giampaoletti, indagato per tentata concussione in merito alla mancata chiusura del bilancio Ama.