A Ostia c'è la mafia. E questo si sapeva già. Ma dall'11 settembre 2018 sappiamo che anche a Roma il cosiddetto Mondo di Mezzo - e cioè quell'organizzazione criminale che vantava come capi e promotori l'ex estremista di destra Massimo Carminati e l'ex ras delle cooperative rosse Salvatore Buzzi e che fino al dicembre del 2014 ha fatto affari con la politica locale e con imprenditori collusi - è da considerare un'associazione di stampo mafioso.
Non c'è ancora la motivazione (se ne parla fra 90 giorni), ma intanto la terza corte d'appello di Roma, ribaltando la sentenza di primo grado, ha pienamente recepito la tesi della procura secondo cui quel sodalizio che ruotava attorno alle figure di Carminati e Buzzi oltre a essere mafioso agiva e operava con metodo mafioso.
I clan autoctoni
Dal dicembre di quattro anni fa, l'ufficio di procura guidato da Giuseppe Pignatone e dall'aggiunto Michele Prestipino (come Dda) ha lavorato sodo assieme alle forze di polizia per dimostrare l'esistenza a Roma e sul litorale di una mafia autoctona - da non intendersi, quindi, come quella tradizionale siciliana o calabrese - dalle dimensioni preoccupanti.
Caduti ormai in disgrazia i Fasciani e i Triassi che a Ostia hanno fatto per anni il bello e il cattivo tempo infiltrando attività economiche legali e seminando ovunque il terrore, l'attenzione investigativa si e' spostata sul clan degli Spada, abili nell'approfittare di un vuoto di potere determinato dagli arresti a pioggia che hanno messo in ginocchio i vecchi 'padroni' del territorio. Emblematico fu l'agguato (di grande valore strategico perché segnò l'ascesa degli Spada) che costò la vita a Giovanni Galleoni (detto Baficchio) e a Francesco Antonini ('Sorcanera') uccisi a colpi d'arma da fuoco in pieno giorno da killer a volto scoperto, in un bar del litorale romano, il 22 novembre del 2011.
Su il velo sugli Spada
Ma dal 25 gennaio 2018, complice il contributo di alcuni collaboratori di giustizia, anche per gli Spada il vento è radicalmente cambiato: l'operazione 'Eclissi' ha spazzato di netto l'intero clan mandando in carcere una trentina di soggetti, tra capi e semplici affiliati, per una lunga sfilza di reati: omicidio, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni ricondotti a un'associazione per delinquere di stampo mafioso "che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva".
Tra i destinatari del provvedimento Carmine Spada, detto "Romoletto", capo indiscusso dell'organizzazione, e il fratello Roberto che ha gia' pagato con una condanna a 6 anni di reclusione l'aggressione a una troupe Rai del programma 'Nemo-Nessuno escluso'. Dal 6 giugno scorso in 27 sono già imputati davanti alla terza corte d'assise di Roma. Nel frattempo, è tornato in fase di appello il processo agli esponenti della famiglia Fasciani: i giudici di secondo grado avevano escluso l'ipotesi mafiosa, considerando il clan un'associazione per delinquere semplice e invece la Cassazione, sposando il ricorso della procura generale, ha disposto l'annullamento del giudizio e ordinato un nuovo dibattimento.
Il ruolo delle donne
Il 17 luglio scorso, invece, magistratura e forze dell'ordine hanno arrestato la scalata mafiosa al potere dei Casamonica, attraverso l'operazione 'Gramigna', con il clan che controllava i quartieri della periferia Sud-Est della capitale (Romanina, Anagnina, Porta Furba e Tuscolano) con sconfinamenti sempre più frequenti alla Borghesiana e in località dei Castelli Romani, Ciampino, Albano, Marino e Bracciano.
I Casamonica - sta emergendo dalle indagini non ancora concluse - hanno solidi interessi in settori commerciali ed economici (edilizia, immobiliare, gestione di ristorazione e stabilimenti balneari, investimento di capitale in società) ma risultano anche coinvolti nel traffico di stupefacenti, nell'estorsione e nell'usura, con tassi di interesse fino al 300% e metodi di riscossione basati sull'intimidazione e la violenza. Ruoli di rilievo, ed è un inedito a certi livelli, sono stati svolti anche dalle donne, in particolare nella gestione delle piazze di spaccio. Amanti del lusso e dello sfarzo, i Casamonica l'avevano combinata grossa il 19 agosto del 2015 con il funerale in pompa magna (una carrozza d'epoca trainata da sei cavalli, 200 auto a fare da corteo funebre, le note del 'Padrino' come colonna sonora a cura di una corposa banda musicale e poi petali di rosa lanciati da un elicottero) in onore del capostipite Vittorio, celebrato nella chiesa di Don Bosco al Tuscolano.
Spenti i riflettori, dei Casamonica si è tornato a parlare per il pestaggio (dello scorso primo aprile) subito dal titolare romeno di un locale della Romanina, il "Roxy Bar", e da una cliente invalida civile. Una vicenda che ha portato all'arresto, per lesioni, minacce e danneggiamento con l'aggravante del metodo mafioso, di Antonio Casamonica e poi di Alfredo, Vincenzo ed Enrico Di Silvio: il raid, originato da banali questioni di precedenza nell'essere serviti al bancone, era in realtà solo un modo per ribadire il controllo territoriale del clan sulla zona. "Non ti scordare che questa è zona nostra", gridavano tra uno schiaffo e l'altro, "qui comandiamo noi".