Nelle ultime settimane si sono riaccesi i riflettori sulla vicenda Chico Forti, il velista e produttore televisivo italiano che negli anni ’90 ha fatto fortuna negli Stati Uniti fino al 15 febbraio del 1998, quando viene arrestato per l’omicidio di Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale Forti stava acquistando il Pikes Hotel, struttura che negli anni ’80 era al centro della movida dell’isola spagnola. Chico Forti, dal 2000, anno in cui una giuria lo ha ritenuto colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è sempre ritenuto innocente e sono tanti i dubbi che negli ultimi vent’anni hanno accompagnato la vicenda giudiziaria del nostro connazionale.
Tutti dubbi sui quali per ultime Le Iene hanno acceso posto attenzione nelle ultime settimane con una serie di servizi che ricostruiscono tutta la storia. Se tutto ciò che abbiamo letto e visto in questi anni fosse vero, il governo americano si troverebbe a fare i conti con un caso di malagiustizia piuttosto evidente e clamoroso. Il processo a Chico Forti infatti, durato appena ventiquattro giorni, presenterebbe diverse lacune piuttosto sospette.
Il movente, che sarebbe riconducibile alla trattativa per l’acquisto del Pikes Hotel regge poco, secondo la ricostruzione della iena Gaston Zama, in atto c’era si una truffa, ma proprio ai danni di un ignaro Chico Forti, e non al contrario come sostenuto dall’accusa; tant’è che prima della condanna per omicidio premeditato, l’italiano era stato assolto da otto capi d’accusa riguardanti la frode. Le prove a suo carico, secondo diversi esperti, sia italiani che americani, ai quali è stato chiesto un parere dal programma di Mediaset carte alla mano, sono traballanti e del tutto inammissibili.
Tra qualche mese Chico Forti taglierà il checkpoint dei vent’anni passati dietro le sbarre del Dade Correctional Institution di Florida City, un carcere di massima sicurezza, e l’Italia, di fatto, in tutto questo tempo non è riuscita ad ottenere una revisione del processo, che negli Stati Uniti è ammessa solo in caso emergano prove nuove, non considerate durante l’udienza che ha portato alla condanna. Perfino i familiari della vittima dopo anni sono usciti allo scoperto dichiarando apertamente le loro perplessità circa la colpevolezza di Forti; lo ha fatto il padre Tony Pike, ora deceduto, al Tg5 una decina di anni fa e lo farà il fratello della vittima, sempre alle Iene, come anticipato sul finale dell’ultimo capitolo dell’inchiesta andato in onda.
Sono numerosi gli italiani illustri che hanno messo la faccia chiedendo al governo italiano un intervento diplomatico deciso riguardo la situazione di Chico Forti, da Fiorello a Jovanotti, fino a Red Ronnie e Marco Mazzoli con tutta la squadra dello Zoo di 105. Per quanto riguarda la politica già nel 2012 Ferdinando Imposimato, all'epoca suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone hanno presentato un report all'allora Ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi di Sant'Agata, ma senza ottenere azioni significative che andassero oltre una pubblica manifestazione di vicinanza. Stesso discorso per il ministro successivo, Emma Bonino, che dichiarò l’interesse nei confronti della vicenda. Bocce ferme fino a ieri, quando il Movimento 5 Stelle ha organizzato una conferenza stampa alla Camera per parlare specificatamente della questione.
Le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro sono state chiare ed inequivocabili: “Quello che faremo nei prossimi mesi sarà questo: incontrare possibilmente il governatore della Florida e i rappresentanti diplomatici americani e chiedere la grazia”.
Chico Forti ha risposto all’iniziativa dei Cinque Stelle con un messaggio inviato direttamente al Ministro degli Esteri Di Maio, dove ci tiene ad evidenziare il “credito” che l’Italia ha nei confronti degli Stati Uniti, con un riferimento non esplicito ma evidente al caso Amanda Knox: “Onorevole Di Maio, anzi Luigi, visto che già ti considero un amico, tu hai già diritto di richiedere la commutazione di sentenza. Abbiamo rilasciato vari cittadini americani inclusi in Italia con sentenze equiparate alla mia. Richieste esaudite in tempi ristretti. Perché io non posso ricevere lo stesso trattamento? Ho passato vent'anni in catene per un delitto che non ho commesso”. “Ciò che voglio – continua Forti - è tornare in Italia, vivere il resto della mia vita da libero cittadino. Ciò che chiedo è giustizia. Una giustizia che mi è stata negata spudoratamente dal Paese che si proclama leader dei diritti umani”.
“È rincuorante – prosegue l’italiano rivolgendosi a Di Maio - sapere che state collaborando per la mia causa uniti, indipendentemente dalle ideologie politiche. Senza il vostro intervento terminerò i miei giorni in un sacco nero, senza lapide. Io accetterò la deportazione e il veto a rientrare negli Stati Uniti. Lo accetterò perché non ho altra scelta. – conclude poi il detenuto italiano - Sono agli sgoccioli di una riserva che ritenevo inesauribile. Sono stanco".