L'energia elettrica "non è un bene indispensabile alla vita". Ad affermarlo sono i giudici della Sezione feriale penale della Corte di Cassazione nella sentenza con cui respingono il ricorso presentato da una 46enne residente nella provincia di Brindisi contro una condanna per furto di elettricità confermata dalla Corte d'appello di Lecce. La donna - sfrattata, senza lavoro e con una figlia incinta - sosteneva in sostanza che le sue condizioni ("certamente precarie e faticose"), riconosciute dal giudice, "avrebbero dovuto portare all'assoluzione per mancanza di colpevolezza".
Un ricorso 'manifestamente infondato'
Tesi non condivisa dalla Cassazione, che giudica il ricorso "manifestamente infondato". "L'esimente dello stato di necessità - si legge nella sentenza - postula il pericolo di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti".
Non è un pericolo di danno alla persona
Nel caso in questione, "la mancanza di energia elettrica non comportava nessun pericolo di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita, nel senso sopra specificato (infatti l'energia elettrica veniva utilizzata anche per muovere i numerosi elettrodomestici della casa); semmai idoneo a procurare agi ed opportunità, che fuoriescono dal concetto di incoercibile necessita', insito nella previsione normativa".