La sentenza con cui la Cassazione ha modificato i criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno di divorzio, supera il precedente consolidato orientamento che ne collegava l’attribuzione di tale assegno al parametro del “tenore di vita matrimoniale”. Ma, soprattutto, apre la strada alla revisione dei vecchi assegni.
Eliana Onofrio, avvocato matrimonialista, spiega come cambiano le cose e perché.
Il matrimonio non è più un 'vitalizio'
Questo perché, secondo la Suprema Corte, i tempi sarebbero ormai cambiati e occorrerebbe “superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come ‘sistemazione definitiva’ […] essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile”. In buona sostanza, è stata decretata la fine del concetto di matrimonio inteso come sistemazione economica per la vita.Come il divorzio è diventato da rivoluzionario a consuetudine
La Cassazione spiega che “il divorzio è stato assorbito dal costume sociale” e che “procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico–patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo famigliare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.
Secondo la sentenza, il divorzio estingue definitivamente il rapporto matrimoniale sia sul piano dello status dei coniugi - che da quel momento diventano “persone singole” cessando così di essere ‘parte’ di un rapporto matrimoniale ormai estinto – che su quello dei rapporti economico-patrimoniali.Come si misurerà ora l'assegno
La Cassazione ha quindi rivisitato i requisiti per la concessione dell’assegno divorzile, affermando che il Giudice del divorzio, nel verificare se sia dovuto o meno l’assegno all’ex coniuge richiedente, faccia esclusivo riferimento “all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso”. E nel farlo tenga conto dei seguenti parametri, che il richiedente l’assegno divorzile ha l’onere di provare:
- i redditi di qualsiasi specie;
- i cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza (inteso come dimora abituale);
- le capacità e le possibilità effettive di lavoro, in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato di lavoro indipendente o autonomo;
- la stabile disponibilità di una abitazione.
Come si sposta 'l'onere della prova'
In altre parole, secondo la pronuncia in commento, il Giudice del divorzio, nell’accertare la sussistenza o meno del diritto all’assegno divorzile da parte di un ex coniuge, sarà chiamato a utilizzare non più il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma quello dell’indipendenza o autosufficienza economica.
Se l’ex coniuge che richiede l’assegno risulterà economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, il diritto all’assegno gli verrà negato tout court. Se invece dimostrerà di non possedere mezzi adeguati e proverà che non può procurarseli per ragioni oggettive, il diritto dovrà essergli riconosciuto.
La Cassazione precisa altresì che questi criteri varranno solo con riguardo al divorzio. La separazione infatti “lascia in vigore, seppur in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art 143 cod. civ. (ndr. in particolare, quello dell’assistenza materiale)”. Il divorzio invece è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona e implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi delle relative conseguenze anche economiche.
Cosa cambia in pratica
La prima considerazione è che questa sentenza, pur non essendo legge e non avendo il peso di una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, costituisce un precedente importante per paralizzare molte richieste di assegni divorzili, soprattutto se troppo esose.
Tale sentenza non arriva come un fulmine a ciel sereno. Basti pensare che, circa trent’anni fa, venivano riconosciuti assegni di divorzio nel 60% dei casi, mentre lo scorso anno solo nel 19% dei casi. Questo a testimonianza del fatto che l’orientamento dei Giudici del divorzio è andato progressivamente cambiando, in maniera sempre più restrittiva.
Gli ex più ricchi brinderanno
Se questo indirizzo giurisprudenziale diventerà maggioritario, gli ex coniugi più ricchi brinderanno.
E infatti, la sentenza in commento riguarda, in particolare, i casi in cui c’è grande sproporzione tra i redditi dei due ex coniugi (casi in cui, fino a ieri, il coniuge economicamente più debole aveva diritto a vedersi corrisposto da quello più benestante un assegno di mantenimento – o, in alternativa, l’erogazione di una somma liquidata forfetariamente in un’unica soluzione, una tantum – particolarmente cospicuo perché calcolato in base al parametro del tenore di vita in costanza di matrimonio).
Ma allora, di fronte questo nuovo indirizzo giurisprudenziale, ci si potrebbe domandare se possa avere un senso, per il soggetto meno abbiente, stipulare un patto prematrimoniale volto a tutelarlo in caso di divorzio. La risposta è No, perché l’ordinamento giuridico italiano non prevede, allo stato, la validità di tali patti. Esiste da anni un apposito disegno di legge, che però non ha sortito alcun risultato.
Legittimo domandarsi inoltre se l’ex coniuge che eroga già un assegno di divorzio a favore dell’altro coniuge possa chiedere in giudizio la revisione in pejus dell’assegno in forza della nuova sentenza. La risposta è Sì.