Non poteva accettare di essere stata lasciata e ha covato per un anno e oltre la vendetta”. Ha spiegato così le motivazioni dell’omicidio dell’albanese 42enne Astrit Lamaj, il procuratore capo di Monza, Maria Luisa Zanetti parlando della mandante, una donna di 64 anni siciliana ma residente a Genova.
Un 'cold case', rimasto irrisolto per cinque anni, dal 15 gennaio del 2013, anno della sparizione, fino all’autunno scorso, quando le ossa della vittima sono state ritrovate.
Erano in un pozzo artesiano di una villa in ristrutturazione a Senago, in Brianza.
I carabinieri sono arrivati a trovarle grazie alle dichiarazioni di un pentito di mafia, in Sicilia: un’indagine più ampia della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, che ha consentito di risolvere anche questo caso collaterale.
Esecuzione spietata
Proprio nel capoluogo ligure la vittima e la mandante dell’omicidio, si erano incontrati e avevano avuto una relazione. Ma lui l’avrebbe poi lasciata e avrebbe sottratto anche dei gioielli dal negozio di sua proprietà.
Un episodio simile a un altro emerso nella vita della 64enne due anni prima.
Nel 2010 - stando a quanto ricostruito dagli investigatori dei carabinieri di Monza, Enna e Genova - la donna aveva comandato di picchiare un suo ex per averla lasciata e per averle rubato dei preziosi.
Il pestaggio che era stato eseguito con brutalità ma non era arrivato alla spietatezza con cui si è vendicata nei confronti dell’albanese. Dell’episodio gli investigatori hanno trovato le prove: un referto in pronto soccorso.
Oltre un anno di premeditazione, il consenso del boss di Riesi, paese di origine della donna in provincia di Caltanissetta, e un commando composto da sei persone per finire la vittima.
Il 42enne fu attirato con una scusa a Muggiò, in provincia di Monza: avrebbe dovuto comprare una partita di droga. Ma giunto da Genova in Brianza venne ucciso brutalmente: accerchiato, preso a botte in testa, immobilizzato da più uomini, e soffocato con un nastro di nylon.
Chi lo ha ucciso però sapeva che sarebbe stato facile sbarazzarsi del cadavere: alcuni degli esecutori stavano infatti effettuando dei lavori di ristrutturazione nella villa di Senago, sapevano dell’esistenza del pozzo e avevano il telecomando per entrare nella proprietà attraverso un cancello.
Dopo averlo trasportato in auto in un garage lo hanno quindi calato nella cavità per poi coprirla con dei calcinacci.
Si tratta di emissari della mafia nissena - Riesi ha un suo mandamento capitanato dalla famiglia Cammarata - in Brianza, pratici del territorio e con tutta probabilità pagati per portare a termine l’esecuzione.
Una freddezza incredibile
Un ambiente, quello dei killer, che gli inquirenti sanno essere contiguo a Cosa Nostra anche se non direttamente legato: due dei fermati hanno precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso.
La donna, commerciante d’oro e pietre, non è invece pregiudicata ma gode di “un potere e conoscenze nel suo comune d’origine nonostante abiti da 30 anni a Genova”. In queste ore è arrivato il fermo per 4 persone, l’indagine per altre 3, visto il “concreto pericolo di fuga” dei presunti colpevoli, accusati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere. Uno degli indagati ha partecipato soltanto all’occultamento.
Incredibile secondo il procuratore Zanetti la freddezza con la quale la donna si era comportata in questi anni: “Nonostante conoscesse il fratello della vittima che non si era mai arreso alla scomparsa e continuava a cercare il congiunto non si è mai fatta sfuggire una parola”.