Una tragedia annunciata: il crollo del ponte Morandi non era questione di se ma di quando. Almeno a giudicare dal monito lanciato due anni fa da un noto ingegnere genovese, Antonio Brencich, di cui oggi circola una vecchia intervista. “Il viadotto ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati”. Questa la valutazione di Brencich, che insegna Strutture in cemento armato all’Università di Genova, in un articolo pubblicato nel 2016 su Ingegneri.info.
Il viadotto Polcevera, conosciuto come ponte Morandi per via del progettista, l’ingegnere Riccardo Morandi, era stato costruito tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua. A causare il tragico crollo nella mattinata di martedì, che ha causato decine di vittime ancora in fase di accertamento, potrebbe essere stato un cedimento strutturale, avvenuto nel tratto che sovrasta via Walter Fillak, nella zona di Sampierdarena.
Il ponte - lungo 1.182 metri e alto 45 metri - era stato costruito con una struttura mista: cemento armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile. L’inaugurazione era avvenuta il 4 settembre 1967 alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, facendo discutere fin da subito gli ingegneri, che ne avevano presto individuato le nefaste criticità.
"Una somma di errori progettuali"
“Il crollo di un ponte - sottolineava Brencich – è la somma una lunga serie di errori, progettuali, di manutenzione e di chi eventualmente ha autorizzato il transito di mezzi pesanti, perdi più senza alcuna cautela: ad esempio, basta far passare i carichi al centro della struttura perché la portata sopportabile aumenti di oltre il doppio”.
Fino agli anni 50 i ponti italiani di prima categoria (quelli di tutte le strade principali) erano progettati per reggere un carro armato M4 Sherman. All’allarme manutenzione in Liguria, con 5mila opere tra ponti e viadotti sotto esame, sempre due anni fa il Secolo XIX aveva dedicato un ampio reportage. Gran parte dei ponti e viadotti – scriveva il quotidiano - sono stati infatti costruiti tra gli anni 50 e 60; la manutenzione, salvo poche eccezioni, è stata carente, perché si è sempre preferito destinare più fondi sulle nuove opere.
“Per legge i ponti devono reggere due volte e mezzo la portata autorizzata", sosteneva Brencich. "Inoltre il degrado impiega da 10 a 20 anni a determinare cedimenti strutturali e dà segnali premonitori molto evidenti. Quindi, quando un ponte crolla, qualcosa deve per forza non aver funzionato. Si potrebbe iniziare nel non ritenere il cemento armato eterno: si rischia di finire come il ponte Morandi, i cui costi di manutenzione sono a tal punto esorbitanti da rendere più economico costruirne uno nuovo”.