Quel giorno del 1779 Ned Ludd doveva essere particolarmente arrabbiato: chissà per quale motivo, forse perché canzonato da alcuni colleghi più giovani, fatto sta che si scagliò contro un paio di telai tessili a vapore finendo per distruggerli. Una reazione plateale a cui, una trentina di anni più tardi, si sarebbero ispirati alcuni lavoratori britannici che replicarono il suo gesto: cominciarono a distruggere i telai meccanici introdotti nel loro lavoro. Protestavano contro i propri datori di lavoro che avevano scelto di portare le macchine nella produzione perché temevano che sarebbero state la causa di disoccupazione e stipendi più bassi. Anche se la figura di Ned Ludd settecentesco è più che altro una leggenda, la rivolta di quelle persone porta proprio il suo nome: erano i cosiddetti luddisti.
I luddisti di oggi: esistono oppure no?
In un post del 5 gennaio sul suo blog, Beppe Grillo annuncia il ritorno dei luddisti: la riflessione dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle nasce da una serie di episodi accaduti negli Stati Uniti negli ultimi due anni a Chandler, in Arizona, dove le auto a guida autonoma della Waymo (una società legata a Google che proprio nell’area sta eseguendo i test) sono finite nel mirino di alcuni abitanti. Finora sono 21 i casi segnalati alla polizia locale, sacrive il sito Az Central del gruppo Usa Today, di cui alcuni piuttosto violenti: lanci di pietre, per esempio, e poi il caso di un uomo di 69 anni, Roy Leonard Haselton, che lo scorso agosto si è avvicinato con una pistola all’auto su cui c’era anche il guidatore.
Grillo scrive che “ancora oggi con il termine luddismo si indicano tutte le forme di lotta violenta contro l’introduzione di nuove macchine e ogni resistenza operaia al mutamento tecnologico”. Sulla definizione offerta dal comico genovese, in realtà, non c’è accordo: da una parte Treccani online non ne fa riferimento, dall’altra il dizionario del Corriere, in senso estensive del termine, lo cataloga effettivamente come “atteggiamento di chi si oppone all'automatizzazione industriale”, mentre Garzanti linguistica parla di “ogni tendenza sindacale contraria all’introduzione di processi di lavorazione automatici”.
Leggi il blog di Riccardo Luna: Quelli che sparano alle auto senza pilota di Google
Da Unabomber a Stephen Hawking, ma il luddismo è un’altra cosa
In ogni caso, probabilmente, il termine più corretto con cui riferirsi al movimento filosofico di chi si oppone al rallentamento dello sviluppo di nuove tecnologie sarebbe neo-luddismo. Ma pur senza volerci addentrare in questioni puramente terminologiche, il cappello sotto cui coabitano gli oppositori allo sviluppo tecnologico racchiude persone di vario tipo: Ted Kaczynski, l’Unabomber statunitense che terrorizzò e uccise tra 1978 e 1995, per esempio era convinto che il cambiamento tecnologico stesse distruggendo la civiltà umana.
Ma anche una mente geniale come quella di Stephen Hawking nutriva qualche dubbio sull’Intelligenza Artificiale, una delle evoluzioni più ardite del nuovo millennio, arrivando a temere che “con la distruzione di milioni di posti di lavoro possa venir distrutta la nostra economia e la nostra società". Proprio in quel discorso di Hawking, pronunciate (in collegamento video) al Web Summit di Lisbona nel 2017, s’intravedeva però l’altra medaglia – quella apparentemente buona – della tecnologia: “Le nostre Ai devono fare quel che vogliamo che facciano – diceva l’astrofisico di Oxford – e forse, con questi nuovi strumenti, riusciremo a rimediare ai danni che stiamo infliggendo alla natura e forse potremmo essere in grado di sradicare povertà e malattie”. Potenzialità enormi, grandi almeno quanto i rischi connessi allo sviluppo: in fondo, però, forse la tecnologia è soltanto l’estensione di noi stessi.
Come dichiarava al Tirreno, nel 2015, il professore della Loyola University di Chicago Steven Jones, “la tecnologia non è una qualche forza malevola esterna a noi stessi, a cui dobbiamo cedere responsabilità e controllo. È ciò che ne facciamo ed è modellata dalle istituzioni e dalle relazioni di potere che noi creiamo. Ciò di cui abbiamo bisogno è più responsabilità, più partecipazione, più processi decisionali etici, non meno tecnologia”.