La decisione, alla fine, è sempre stata politica. Nel senso che il caso Battisti, o meglio quello delle sue estradizioni mancate, è una tipica vicenda in cui è prevalsa non tanto e non solo la ragion di Stato, ma l’idea che il diritto debba essere inferiore alle prerogative del potere esecutivo.
E questo ha permesso che il terrorista rapinatore giunto in Italia da un pugno di ore potesse vivere per anni e anni, da latitante garantito, prima in Francia e poi in Brasile.
Non per via di protezione di carattere più o meno clientelare, ma per l’idea che in certi casi il responsabile del governo possa avere più ragione della legge stessa. In Italia è cosa impensabile, altrove no.
Una Dottrina discutibile
In principio fu Francois Mitterrand, che giunse al potere nel 1982, in Francia, alla testa di una coalizione delle sinistre di cui faceva parte anche il Partito Comunista Francese, allora ancora esistente.
Un Mitterrand che ancora non ha consumato la sterzata al centro, ed è intenzionato a porsi come erede diretto della Francia della Comune, enuncia il principio per cui Parigi non avrebbe concesso l’estradizione nei confronti di quanti cercassero rifugio in Francia dopo essersi macchiati anche di atti violenti, ma di natura politica. Altra condizione: che accettassero di non commetterne di nuovi.
La Dottrina Mitterrand sollevò immediate perplessità tanto in Germania quanto in Italia, entrambi paesi che da poco erano usciti dal tunnel del terrorismo. Infatti in poco tempo in Francia vennero a stabilirsi una serie di transfughi responsabili di crimini a sfondo politico (si noti: in Italia la natura politica dei reati di terrorismo non era riconosciuta). Tra questi molti esponenti delle Brigate Rosse, di Prima Linea, di Autonomia Operaia. Cesare Battisti si unisce al gruppo nel 1981, dopo l’evasione da un carcere italiano.
Sovranismo giuridico
Dieci anni dopo Battisti viene dichiarato ufficialmente non estradabile dalla Chambre d’accusation di Parigi, che mette l’accento sulla natura “degna di una giustizia militare” delle prove addotte contro di lui. Ma questa è solo una parte delle motivazioni giuridiche. La Dottrina Mitterrand, infatti, stabiliva un principio interpretativo della legge in cui la norma poteva, di fatto, essere scavalcata dalla linea decisa dall’Eliseo. Attenzione: anche quando essa fosse in palese contrasto con le norme e la prassi del diritto comunitario e della collaborazione tra i paesi dell’Unione Europea. Insomma, un esempio di sovranismo giuridico antieuropeista.
Detto in punta di diritto: il Presidente era superiorem non recognoscens, o quasi, per cui quanto detto da Mitterrand il 21 aprile 1985 (ed anticipato in alcuni interventi precedenti) aveva forza di indirizzo normativo. In quella occasione il Presidente dichiarò protetti “i rifugiati italiani che hanno preso parte ad azioni terroristiche prima del 1981 ed hanno rotto con la macchina infernale a cui hanno partecipato”. Quindi Battisti e tutti gli altri potevano restare a buon diritto.
Non è un caso che, per ribaltare questa dottrina, si rendesse necessario una sentenza del Consiglio di Stato francese, il quale nel 2004 dichiarò di fatto nulla e priva di efficacia la Dottrina dell’Eliseo. Scrisse, il Consiglio di Stato, che le parole di Mitterrand “sono di per sé prive di effetti giuridici”. Di conseguenza Battisti, appena riarrestato, venne ora dichiarato estradabile, anche perché nel frattempo il Presidente Chirac aveva fatto intendere di essere d’accordo con il nuovo orientamento. Il colpo finale lo dette la Corte europea dei diritti dell’uomo: il diritto comunitario doveva essere rispettato allo stesso modo in tutti i paesi dell'Unione.
In Brasile, protetto dalla Costituzione
Riparato in Brasile, Battisti questa volta ha dalla sua parte addirittura la Costituzione. La Carta brasiliana, infatti, contiene un articolo, ed un principio, difficilmente rintracciabile nelle leggi fondamentali europee. Si tratta dell’articolo 84, e per la precisione il comma 7. Stabilisce che il Presidente della Repubblica (fino a pochi anni fa Lula da Silva, poi Temer ed ora Bolsonaro) ha una competenza esclusiva nel “mantenere i rapporti con gli stati esteri”. Tra queste prerogative il fatto che “nessuna estradizione di uno straniero deve essere concessa per reati politici o di opinione”. In sintesi: è il Presidente che stabilisce se concedere, in ultima istanza, un’estradizione oppure no. E con Battisti Lula disse di no. Il perché sta tutto nella sua valutazione personale.
Oltre a ciò gli avvocati brasiliani sono stati efficaci nel giostrarsi tra i cavilli di una ordinaria legge brasiliana che prevede la prescrizione per i reati la cui sentenza di condanna sia passata in giudicato da oltre vent’anni. E i reati contestati a Battisti sono stati tutti sottoposti al vaglio del giudice non oltre l’inizio degli anni ’80. Ma l’ostacolo, di per sé, è superabile. Quello che non è superabile è il diritto del presidente brasiliano di dire l’ultima parola su un’estradizione. Fino a poco tempo fa la regola ha giocato in favore di Battisti, ora gli si è ritorta contro.