Oltre 153 milioni di persone rischiano di ritrovarsi la loro abitazione sommersa, entro il 2100, a causa dell'innalzamento del livello dei mari. Questo se continueremo a utilizzare combustibili fossili al ritmo attuale, con i conseguenti effetti sul riscaldamento globale e lo scioglimento delle calotte polari. È l'allarme lanciato da uno studio pubblicato questa settimana da Earth's Future.
Senza un cambiamento nella maniera in cui utilizziamo l'energia, sostiene la ricerca, il livello medio dei mari potrebbe salire di 1,5 metri entro il 2.100, una cifra pari a circa il doppio di quanto stimato nel 2014 dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite. Un aggiornamento così drastico e legato a nuovi modelli che ipotizzano uno scenario non preso in considerazione dall'Ipcc, ovvero il collasso di larghe aree dei ghiacci antartici.
Quali sarebbero le aree più colpite?
Se tale scenario si concretizzasse, l'innalzamento del livello dei mari "sommergerebbe aree che al momento ospitano oltre 153 milioni di persone", si legge nella ricerca. Il Sud Est Asiatico, dove già le acque salgono a ritmi molto superiori alla media, sarebbe l'area più colpita. La popolazione delle aree costiere di Cina, Bangladesh, India, Indonesia e Vietnam potrebbe quindi essere costretta, tra alcuni decenni, a un autentico esodo verso l'entroterra.
È però corretto ricordare che si tratta di ipotesi basate su dinamiche fisiche complesse e parzialmente inesplorate. "Comprendere che qualcosa è una possibilità concreta non significa sapere quanto sia probabile", sottolinea Quartz. Quel che è certo è che, se riuscissimo a limitare l'incremento della temperatura globale sotto i due gradi centigradi, come previsto dall'accordo di Parigi, tali probabilità si ridurrebbero drasticamente.