A cura di Openpolis
Gli asili nido spesso sono il primo luogo di socialità del minore al di fuori della famiglia di origine. Significa che può essere un’enorme occasione per ridurre quel bagaglio di disuguaglianze che ereditano, loro malgrado, i bambini provenienti da contesti svantaggiati. Un’opportunità formativa unica, tanto più equa quanto più disponibile anche per le famiglie in disagio economico o meno integrate nella società.
La diffusione degli asili nido quindi non riguarda solo la conciliazione della vita familiare con quella lavorativa. È vero che la loro assenza (o presenza a costi proibitivi) può essere un ostacolo insormontabile per la partecipazione delle donne al mondo del lavoro, con conseguenze negative sul reddito delle famiglie e quindi anche sulla condizione materiale dei figli.
La lotta alla povertà educativa
Ma estendere la rete dei servizi per la prima infanzia (quella che coinvolge i bambini sotto i 3 anni) ha delle ricadute che non si limitano solo agli aspetti economici. Data la loro valenza formativa, rendere i servizi per la prima infanzia universali, più diffusi e accessibili, è una delle sfide decisive nella lotta alla povertà educativa.
Per questo la normativa europea e quella nazionale hanno fissato degli obiettivi da raggiungere nell’offerta di asili nido. Il consiglio europeo tenuto a Barcellona nel 2002 ha posto come traguardo per gli stati membri che i posti disponibili nei servizi per la prima infanzia coprano almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33% dei bambini sotto i 3 anni. Obiettivo recepito anche dalle leggi italiane, ultimo il decreto legislativo 65 del 2017 che ha ribadito questo impegno.
A che punto siamo in Italia?
Alla luce degli obiettivi europei e nazionali, a che punto siamo? I dati più recenti, pubblicati da Eurostat lo scorso 8 maggio, mostrano alcuni progressi, per quanto calcolati rispetto alla popolazione 0-3 anni. In questa fascia d’età, l’Italia è al 34% (Eurostat, 2016), mentre rispetto a quella 0-2 anni si colloca attorno al 23% (Istat, 2014/2015). L’obiettivo è tarato sul livello nazionale, quindi sono questi gli indicatori presi come principale riferimento.
Ma cosa sappiamo sulla presenza di questi servizi nei diversi territori? Ancora non possiamo registrare gli effetti di una crescita su comuni, province e regioni. I dati disponibili a livello locale, rilasciati da Istat nel dicembre scorso, si riferiscono all’anno educativo 2014/15, quando a livello nazionale la quota raggiunta si attestava al 23%. Ma, anche se potrebbero non integrare eventuali progressi più recenti, consentono una valutazione sulla distribuzione dell’offerta sul territorio.
Al vertice Val d’Aosta, Trentino e aree tosco-emiliane
I dati come dicevamo fanno riferimento al 2014. Disaggregati a livello regionale, mostrano come solo Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna, la provincia autonoma di Trento superino la soglia del 33%. La Toscana l’ha praticamente raggiunta, con un dato di poco inferiore (32,7%).
Il resto del centro-nord insegue
Tutte le altre sono ancora lontane dall'obiettivo europeo, con delle differenze significative. Le restanti regioni centro-settentrionali si collocano comunque al di sopra della media italiana in quel periodo, con un dato che varia tra il 25,4% del Piemonte e il 28,8% della Liguria. Questo blocco del centro-nord, a cui si aggiunge la Sardegna con un significativo 27,9%, nei prossimi anni potrebbe avvicinarsi o addirittura raggiungere il 33%. Dal momento che comprende anche territori molto popolosi (come Lombardia, Lazio, Veneto), una performance positiva potrebbe migliorare in modo significativo il dato nazionale.
Il sud ancora indietro
Colpisce invece come in fondo alla classifica si trovino solo regioni del mezzogiorno. Mentre Molise e Abruzzo mantengono un dato comunque in linea con la media italiana registrata in quell'anno, se ci spostiamo ancora a sud emerge una carenza di strutture dedicate alla prima infanzia, in alcuni casi drammatica.
In tre grandi regioni meridionali come Sicilia, Calabria e Campania, i posti disponibili non bastano nemmeno per un bambino su 10. E il dato regionale può comunque nascondere delle notevoli differenze a livello locale, che possiamo provare a ricostruire mappando la copertura per singolo comune.
Se si osserva più attentamente, la media regionale nasconde realtà molto diversificate, anche interne alla stessa regione. Nessuna è perfettamente omogenea. Anche nei territori meno serviti, ad esempio la Puglia, quart'ultima in classifica con il 12,6%, non mancano città con un'offerta non troppo dissimile da quella del centro-nord, come Lecce (24,4%) e Foggia (24,1%). Ma allontanandoci dai centri, l'offerta può anche diminuire drasticamente. Nel foggiano solo il capoluogo e altri 3 comuni (Bovino, Orsara di Puglia, Castelluccio dei Sauri) superano la quota del 20%: di conseguenza la media provinciale è molto più bassa e si attesta al 10,1%.
I capoluoghi spesso fanno meglio degli altri
Un primo elemento da considerare è che le città maggiori propongono un'offerta di servizi per la prima infanzia generalmente più ampia degli altri comuni. La classifica regionale ci ha indicato che solo una minoranza di regioni raggiunge l'obiettivo europeo del 33%. Al contrario, se osserviamo unicamente i comuni capoluogo, ben 14 su 21 hanno già superato quella soglia. In alcuni casi anche con percentuali considerevoli.
Aosta e Bolzano sfondano quota 50%; Trento, Bologna, Perugia, Roma, Cagliari e Firenze superano il 40%. Certo, anche il dato sui capoluoghi fa riemergere la tendenza già delineata. In testa, i centri delle regioni autonome e dell'area umbro-tosco-emiliana, allargata in questo caso a Roma e Cagliari. In fondo alla classifica, le 3 maggiori città del sud: Palermo, Napoli e Bari.
Questo non deve portare a generalizzazioni. Come emerso dalla mappa, in quel sud che abbiamo visto essere più scoperto nei servizi per la prima infanzia, non mancano territori con colori più accesi. Eccezioni, che però suggeriscono come alcune realtà abbiano raggiunto livelli pari o superiori a quelli delle città centro-settentrionali. Al contrario, regioni che presentano una media alta possono nascondere forti squilibri interni. Il fenomeno può essere ricostruito con l'analisi di casi specifici, ad esempio quelli della Sardegna e della Campania.
La forte disomogeneità interna della Sardegna
Con il 27,9%, la Sardegna rappresenta un'eccezione tra le regioni del Mezzogiorno per il livello di copertura degli asili nido. Questo dato medio è il risultato di una distribuzione non omogenea. Selezionando i 10 comuni dell'isola con più abitanti tra 0 e 2 anni, notiamo come si oscilli tra il 73% di Selargius e il 22% di Alghero, valore comunque in linea con la media nazionale.
Di rilievo il fatto che i due maggiori centri dell'isola, Sassari e Cagliari, abbiano superato largamente l'obiettivo europeo, rispettivamente con il 49,5% e il 41,3%.
Se invece ci si sposta in aree meno centrali, la copertura dei servizi per la prima infanzia scende notevolmente. È il caso dei comuni dell'Ogliastra, dove il dato si attesta al 13%. Ma anche in questo caso, si registra una notevole variabilità interna. Basta confrontare il dato dei due centri principali di questa provincia sarda ora abolita: Lanusei (34,4%) e Tortolì (11,1%).
La Campania e l'eccezione Salerno
La Campania (6,4%) è all'ultimo posto tra le regioni e Napoli (7,9%) è al penultimo posto tra i capoluoghi regionali. In un panorama regionale contraddistinto da una popolazione giovanile numerosa e pochi asili nido, spicca - in controtendenza - la città di Salerno.
Tra i 10 comuni campani con più abitanti sotto i 3 anni, è l'unica a superare il 40%. Ma il confronto reso particolarmente stridente dal fatto che 8 su 10 non raggiungono la doppia cifra. Tre di queste (Afragola, Acerra e Torre del Greco) non arrivano ai 3 posti in asili nido per 100 bambini residenti.
Un obiettivo non solo nazionale
Quelli scelti sono solo due esempi possibili di come la media regionale, presa da sola, rischia di comprimere l'analisi.
L'obiettivo europeo, come abbiamo visto, è tarato sul livello nazionale. Nei prossimi anni sarà interessante vedere se l'Italia raggiungerà il piazzamento al di sopra dell'obiettivo anche nella fascia 0-2 anni, e non è escluso che un miglioramento in regioni molto popolose come Lazio e Lombardia possano migliorare ancora il risultato. Ma accanto al dato nazionale, il vero banco di prova sarà il dato delle regioni meridionali, e ancora di più quello dei singoli comuni. Al di là della media, pure importante, solo un incremento dell'offerta in aree al momento scoperte ci dirà se le politiche per la prima infanzia nel nostro paese stanno funzionando.
Mettiamo a disposizione in formato aperto, regione per regione, i dati utilizzati nell'articolo. Come openpolis li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi a livello comunale. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati sugli asili nido e servizi per la prima infanzia a livello comunale è il datawarehouse Istat. L'istituto di statistica li rileva annualmente attraverso questionari, in collaborazione con il ministero dell'economia, regioni e province autonome.