Le donne che da anni percepiscono dall'ex marito un assegno divorzile e che godono della pensione, con tutta probabilità perderanno il mantenimento. E non importa se tra i due ex coniugi c'è una differenza abissale di reddito. Lo ha stabilito in una nuova sentenza depositata il 22 giugno dalla Corte di Cassazione chiamata ad esprimersi su un caso di revisione dell'assegno divorzile. Una decisione che non lascia spazio a interpretazioni: anche in questo caso di revisione dell'assegno vale il principio sancito dalla sentenza rivoluzionaria del 10 maggio scorso, secondo cui l'unico parametro per l'assegnazione degli alimenti è l'autosufficienza e non il tenore di vita. Una vera e propria inversione di rotta dopo 27 anni di consuetudine.
In altre parole, così come in caso di divorzio il coniuge più debole può beneficiare dell'assegno di mantenimento solo se realmente non autosufficiente, allo stesso modo, anche a distanza di anni, gli alimenti possono essere sospesi se un nuovo elemento (dalla pensione all'appartamento in affitto) cambia la situazione economica e patrimoniale del beneficiario.
Il caso
Ed è quello che è accaduto tra i due ex coniugi della sentenza di giovedì 22: la richiesta di revisione è stata formulata dall'uomo che dal 2005 pagava gli alimenti all'ex moglie che all'epoca dei fatti non percepiva reddito. Una volta scoperto che da sette anni la signora gode di una pensione di 1.140 euro netti mensili, l'uomo ha fatto ricorso chiedendo l'eliminazione dell'assegno in quanto sono cambiate le condizioni iniziali. Non solo: per lo stesso motivo - aggiunge l'uomo, in pensione dal 2011 - la donna non ha diritto nemmeno a una quota del suo trattamento di fine rapporto.
La decisione della Cassazione
Il Tribunale di Roma prima e la Corte di Appello poi, accoglievano la richiesta del marito solo parzialmente, riducendo l’importo da euro 250,00 a euro 100,00 mensili. Perché è vero che sono cambiate le condizioni economiche, ma è anche vero che tra i due ex coniugi rimane una differenza reddituale importante. Senza contare che la signora, vista l'età, avrebbe difficoltà a cercare lavoro. La somma ė bassa, ma per l'uomo, a questo punto, è una questione di principio.
L'ex marito fa allora ricorso in Cassazione la quale butta nel cestino della spazzatura la decisione della Corte d'Appello, stabilendo che tutte le sentenze devono aderire esclusivamente al concetto dell'autosufficienza stabilito nella causa Grilli del 10 maggio. In particolare, si legge che "la Corte di Cassazione, con la sentenza 22 giugno 2017 n. 15481, ha ritenuto di accogliere tale richiesta sulla scia della precedente sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, confermando il principio per il quale il riconoscimento di un assegno di mantenimento in sede di divorzio non va parametrato al "tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” ma con esclusivo riferimento “all’indipendenza o autosufficienza economica”.
L'avvocato: "La sentenza rischia di riaprire un mare di cause"
"La particolarità di questa sentenza - spiega all'Agi l'avvocato matrimonialista Eliana Onofrio - risiede nel fatto che la stessa è stata emessa non nell’ambito di un procedimento divorzile come la precedente, ma in uno di revisione delle condizioni già stabilite in un precedente giudizio di divorzio". Inoltre, "la Corte non solo ritiene superato - anzi addirittura 'fuorviante' - il criterio del mantenimento del tenore di vita, ma arriva ad affermare di non essere del pari rilevante la permanenza di un evidente divario economico tra le due parti”.
Appare quindi evidente, conclude l'avvocato, come tale sentenza "possa ‘dare il la’ a un numero considerevole di richieste di revisione di assegni divorzili a suo tempo parametrati al mantenimento del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio".