Non bisogna turbare troppo la quiete e gli affari. Così Matteo Messina Denaro, il 'pacificatore', era pronto a tornare in azione risolutamente per sedare le tensioni nella cosca di Marsala. I suoi diktat sono indiscutibili, ma si era detto "pronto a muovere" il suo "esercito", dando un'indicazione della forza attuale del superlatitante, da 24 anni un 'fantasma'.
L'esercito del boss "pronto a scoppiare"
Quell'"esercito" - come emerge dall'indagine culminata mercoledì nell'operazione "Visir" dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani, coordinata dalla Dda di Palermo e culminata nel fermo di 14 fedelissimi del capomafia - era pronto a mettersi in marcia per placare le tensioni interne, a un passo dall'esplodere per la spartizione delle risorse finanziarie accumulate con affari illeciti come le estorsioni. Così emerge che l'imprendibile boss, sempre in movimento fuori e dentro la Sicilia, nel 2015 era a Marsala. "Iddu u dissi", "lui l'ha detto", si sente affermare in un dialogo fitto e accorto tra due affiliati intercettati mentre sostenevano che il 'fantasma', erede di Totò Riina, aveva trovato provvisoria dimora tra le campagne marsalesi e che voleva che si ristabilisse la pace o sarebbero intervenuti i suoi numerosi soldati per ristabilirla. "Ha un esercito intero", conferma una intercettazione, "e lui è pronto a scoppiare". In tale quadro, spiegano gli investigatori, "le indagini hanno fornito inediti e importanti elementi in ordine alla operatività e alla possibile periodica presenza di Messina Denaro nella Sicilia occidentale". E' così scattato il blitz, anche per fermare possibili omicidi, nuovo capitolo di tensioni mai sopite. "Iddu" forse è altrove, ma la caccia continua.
"Il latitante vuole uccidere"
"C'è il latitante che ha i c... unciati (è infuriato), che sarebbe Messina Denaro, che si trova nelle zone nostre e ha i c... unciati... Mettiamo... E vorrebbe ammazzare a qualcuno. Uno, due, tre... quanto?". Le cimici dei carabinieri piazzate nei casolari del Trapanese, captano il dialogo tra mafiosi che svelano la presenza del superlatitante in provincia. Accertata l'ampia disponibilità di armi e un video riprende alcuni mentre si esercitano a sparare.
Un blitz importante quello dei carabinieri, dunque, che ha interessato in particolare i comuni di Marsala e Mazara del Vallo. E il mandamento di Mazara, storica roccaforte e influente realtà della Cosa nostra trapanese, in base alle risultanze dell'indagine, continua a rappresentare una realtà strategica nelle dinamiche criminali d'area tanto da determinare il diretto intervento e gli editti di Messina Denaro, a cui non si può dire di no. È il latitante, secondo quanto acquisito dalla viva voce degli intercettati, a impartire stringenti direttive volte al mantenimento degli equilibri mafiosi interni ad una delle più importanti articolazioni territoriali del mandamento, ossia la cosca mafiosa di Marsala. Il gruppo criminale, capeggiato da Vito Vincenzo Rallo e caratterizzato da pericolosi conflitti interni, è stato sostanzialmente pacificato dall'intervento del latitante; nel gennaio 2015 Messina Denaro, attraverso gli ordini comunicati da Nicolò Sfraga (capo decina marsalese e luogotenente di Rallo) e rivelando di fatto la propria presenza nell'area trapanese, ha minacciato di essere pronto a risolvere 'manu militari' eventuali ribellioni e disobbedienze.
Quella sporca decina
Individuata la 'decina' di Petrosino-Strasatti, facente capo alla cosca di Marsala e composta a sua volta da due sottogruppi di affiliati riferibili l'uno a Sfraga, vero e proprio luogotenente imposto da Rallo, che annoverava tra le proprie fila Domenico Centonze, Calogero 'D'Antoni, Giuseppe Giovanni Gentile e Simone Licari; l'altro a Vincenzo D'Agguanno che, sostenuto da Michele Lombardo, Alessandro D'Agguanno e Andrea Antonino Alagna, mal sopportava le autoritarie ingerenze di Sfraga nell'imposizione di quella che veniva ritenuta un'iniqua spartizione delle risorse economiche del territorio di competenza. In questo quadro conflittuale è emersa la presenza nel territorio trapanese del latitante che nei primi mesi del 2015, secondo quanto affermato da Sfraga impartiva ordini per il rispetto delle gerarchie interne alla famiglia di Marsala, nonché per il mantenimento degli equilibri mafiosi dell'area. Cosi' è venuto fuori dalle conversazioni intercettate nel corso di summit, uno di questi svoltosi il 5 gennaio di due anni fa tra Sfraga e Vincenzo D'Aguanno.
Appalti, la guerra del cemento
Tra le questioni controverse, la spartizione di lavori edili commissionati in contrada Paolini di Marsala e il dissidio tra lo stesso D'Aguanno e Ignazio Lombardo, "u capitano", già luogotenente dell'anziano mafioso marsalese Antonino Bonafede. Queste criticità, secondo sempre il racconto di Sfraga, erano state lette dal latitante, in quel momento rifugiatosi nell'area trapanese, come un ulteriore possibile minaccia per l'intera associazione, già gravemente colpita da indagini che avevano portato all'arresto di esponenti della famiglia di Castelvetrano, quali la sorella di Messina Denaro, Anna Patrizia, e i nipoti Francesco Guttadauro e Girolamo Bellomo (arrestati nelle operazioni Eden I e II). Secondo Sfraga, il ricercato, pronto a uccidere, era stato ricondotto a più miti consigli da non meglio indicati decani del gruppo criminale che lo avevano portato a emanare una direttiva che prevedeva un vero e proprio congelamento dei dissidi in atto. Documentata pure l'appartenenza all'associazione mafiosa dell'imprenditore edile mazarese Fabrizio Vinci, che aveva acquisito una posizione di sostanziale predominio nel mercato delle forniture di conglomerati cementizi nell'area marsalese. Gli affari, innanzitutto.