E' morto a 86 anni Valentino Parlato, scrittore e tra i fondatori del quotidiano “Il Manifesto”di cui è stato più volte direttore e presidente della cooperativa editrice. Ed è stato proprio il quotidiano con un breve messaggio a confermare la notizia che qualche ora prima era stata data su Facebook da Ritanna Armeni, giornalista e conduttrice televisiva. “Comunista per tutta la vita, ha militato nel Pci fino alla radiazione, lavorato a Rinascita, fondato e difeso il manifesto in tutta la sua lunga storia. Per ora ci fermiamo qui, abbracciando forte la sua splendida famiglia e tutti i compagni che, come noi, l’hanno conosciuto e gli hanno voluto bene”. Si legge nel ricordo del sito web de Il Manifesto.
La storia del fondatore de "Il Manifesto"
Valentino Parlato è nato a Tripoli il 7 febbraio del 1931 da una famiglia originaria di Favara, in provincia di Agrigento. Il padre era un funzionario del fisco. Iscritto al Partito comunista libico, nel 1951 fu espulso dal Protettorato britannico: “Ero studente in Legge: se fossi sfuggito a questa prima ondata sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi m’avrebbe cacciato, nel 1979, insieme a tutti gli altri, mi sarei ritrovato in Italia, a quasi cinquant’anni, senz’arte né parte. Sarei finito a fare l’avvocaticchio per una compagnia d’assicurazione ad Agrigento, a Catania. Un incubo. L’ho veramente scampata bella”.
Parlato nel 1951 si trasferì a Roma e lì incontrò Luciana Castellina e si iscrisse al Pci. Alle elezioni del 1953 accettò di lavorare per la federazione di Agrigento. Poi, quando gli proposero di restare come funzionario e in prospettiva come futuro candidato al Parlamento, decise di tornare a Roma e trovò lavoro all’Unità come corrispondente per la provincia.
Si sposò per la prima volta con Clara Valenziano da cui ebbe due figli, Enrico e Matteo. Poi toccherà a Delfina Bonada, italiana nata in Svizzera che sarà la sua seconda moglie e madre di Valentina. Portato da Giancarlo Pajetta a Rinascita come redattore economico, nel 1969 fu radiato dal Pci con gli altri fondatori del Manifesto: da questo momento la sua biografia coincide con quella del giornale. Partecipò alla realizzazione del primo numero (23 giugno 1969, edizioni Dedalo, 75 mila copie di tiratura) con Luigi Pintor, Aldo Natoli, Luciana Castellina e Ninetta Zandegiacomi. I direttori erano Lucio Magri e Rossana Rossanda. Il 28 aprile 1971 il Manifesto divenne quotidiano e Parlato ne fu direttore molte volte.
Uomo originale e di notevole senso dell’umorismo, negli anni sostenne, tra le altre cose, che i dirigenti di sinistra non possono avere in casa la colf, che le intercettazioni telefoniche vanno benissimo e non si devono limitare. Appoggiò il governo Dini e anche il primo governo Prodi, ma non il governo D’Alema, si congratulò con gli Agnelli quando affidarono la Fiat a Romiti, ammise che il Manifesto accettò 60 milioni dal Psi di Craxi ("un prestito, abbiamo restituito tutto").
Da ultimo fu sommerso da una valanga di lettere di contestazione dopo aver sostenuto che era un errore boicottare la Fiera del libro di Torino con Israele ospite d’onore. Ma soprattutto fronteggiò, con grande spirito pratico, le continue crisi finanziarie del giornale. Fumatore accanito, nel novembre 2007 dichiarò ancora 70 sigarette al giorno. Giudicò le limitazioni imposte da Sirchia un attentato alla libertà (“Non escludo che, dopo le sigarette, si passi a vietare tutto il resto”).