Roma - E’ la sera di Natale. Luca ha scartato i regali e ha accompagnato genitori, nonni e zii a una riffa. Ha solo dodici anni e non ha nemmeno ben chiaro come funzioni quella strana lotteria, fatto sta che estrae il numero fortunato e la sua famiglia si aggiudica il premio più ambito. Tutti fanno festa, lo portano in spalla, lo salutano come un piccolo eroe. Lui stringe ancora in pugno il bigliettino che ha reso questa notte di festa così speciale. E che ha appena segnato la sua rovina. Perché papà, mamma, nonni e zii sono ormai convinti che il bambino abbia la mano fortunata e che il suo destino sia quello di riscattare la famiglia. Gli procurano un computer e una connessione internet: è un bambino sveglio e ci metterà poco a imparare come si gioca on-line. E a vincere. Luca, diligente, impara. E perde. Perde e continua a perdere, finché il sogno dei suoi genitori non diventa un’ossessione e poi una malattia. Luca non ha nemmeno tredici anni quando finisce in terapia per cercare di guarire dalla ludopatia.
Il nome è inventato, ma la storia è vera e Luca è uno dei 300mila giocatori che in Italia sono a rischio patologia. Si ritrovano nelle sale gioco, ma anche nei retrobottega di bar polverosi e dietro le vetrine di tabaccherie di periferia, proprio quelli da cui Renzi ha annunciato di volerli allontanare. A raccontare la storia di Luca è Roberto Pozzoli, presidente dell’associazione ‘Vinciamo il gioco’ che da anni mette una nutrita squadra di terapeuti a disposizione di chi ha deciso di farla finita con le carte, le slot e le scommesse. “Dei 300mila giocatori ‘estremi’ in Italia, circa 23mila si rivolgono a un servizio di terapia” dice Pozzoli all’Agi, “più o meno 17.500 si al pubblico e 5.500 a strutture private come la nostra”. Delle circa 70 telefonate che ogni mese arrivano all’associazione, due terzi vengono da parenti di persone che si stanno letteralmente rovinando con il gioco. “A loro suggeriamo quali passi compiere per mettere il familiare di fronte alla realtà e affrontare quella che a tutti gli effetti è una malattia. Nel momento in cui ci richiamano perché ci sono riusciti, è già un passo importate”. Ma non è tutto, spiega Pozzoli, perché si può generare un effetto paradosso per il quale il giocatore, convinto che la ludopatia abbia una cura, vi sprofonda sempre di più, cullato dall’illusione che uscirne sia a questo punto più facile..
“Bisogna distinguere tra giocatori sociali (quello dei gratta e vinci, per intenderci), giocatori a rischio (che sono a un passo dalla dipendenza) e giocatori patologici” dice ancora Pozzoli, “se si dovessero seguire le tariffe stabilite dall’ordine degli psicologi, un percorso terapeutico costerebbe 105 euro a seduta, ma spesso ci si trova di fronte a persone così in rovina da non avere i soldi per curarsi”. Togliere le slot da bar e tabaccherie, secondo il presidente di ‘Vinciamo il gioco’ “sarebbe utile se fosse accompagnato da altri interventi. Pensare che la gente smetterebbe di giocare è illusorio, ma si può veicolare questa utenza verso sale gioco regolamentate e con la presenza di uno psicologo pronto a individuare i casi limite e a intervenire”. La proposta che l’associazione è pronta a portare al legislatore è ancora più fattuale: chi vuole giocare deve dotarsi di una tessera in cui si indicato il limite di spesa giornaliero e che non permetta di andare oltre quello.
“E’ anche un problema di cultura” aggiunge Pozzoli, “tante persone non cercano la terapia perché non è diffusa l’idea che la ludopatia sia una dipendenza. Altri lo sentono, ma non vogliono smettere perché giocare li fa star bene, come l’alcol per un alcolizzato. Poi ci sono quelli che sanno di avere un problema, ma sono sepolti dai debiti e sperano di risollevarsi continuando a giocare con la speranza di vincere. Le categorie più esposte sono adolescenti e anziani: l’anziano perché ha bisogno di nuove emozioni, l’adolescente perché ama il rischio ed è attratto dai soldi. In una indagine condotta su un campione di 1.025 studenti di scuola media e biennio delle superiori, il 50% aveva provato il gioco e il 30 per cento di questi presentava segni di problematicità, mentre il 10 per cento (5% del campione totale) era già a livelli patologici”.
“Colpa della liberalizzazione” tuona Antonio Tinelli, coordinatore del comitato sociale di San Patrignano, dove da un anno è attivo il centro di recupero dalle ludopatie, “tutte le dipendenze hanno origine in un rapporto che determina una fuga dalla realtà e si manifesta in una compulsione verso un’azione che viene ripetuta in modo esasperato pur di annullare il resto. Che accada con il gioco, l’alcol o le droghe, quello che determina questo comportamento è insito in una frustrazione cui noi cerchiamo di dare risposta”. Il successo della riabilitazione dalle ludopatie è più alto di quello delle tossicodipendenze, dice Tinelli, “ma quello che è cambiato è il panorama generale: l’esplosione del fenomeno gioco si è registrata dalla legalizzazione in poi. Togliere le slot da bar e tabaccherie è una proposta a posteriori per cercare di riparare ciò che ha irreversibilmente danneggiato la società. Speriamo che questa esperienza negativa faccia desistere dalla progetto di legalizzazione delle droghe”. (AGI)