Roma - Stefano Cucchi come Giulio Regeni: "la tragica fine" del geometra romano di 32 anni, "ucciso una prima volta da servitori dello Stato in divisa, anche se si tratta di stabilirne il colore, e una seconda volta da servitori dello Stato in camice bianco", ci riporta "alla terribile morte" del ricercatore friulano, sequestrato al Cairo, torturato e poi scaricato lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana. Il sostituto procuratore generale di Roma Eugenio Rubolino, nel processo di appello bis per omicidio colposo a carico dei cinque medici del Pertini che avrebbero dovuto curare Cucchi, evita di usare testualmente il termine 'torturà (lo fa la sorella della vittima, Ilaria, in un post su Fb) ma, per far capire come i due casi giudiziari abbiano molti punti in comune, definisce per due volte la struttura protetta di quell'ospedale, in cui Stefano ha perso la vita dopo sei giorni di agonia il 22 ottobre del 2009, come l'equivalente di "un lager", al punto da meritarsi persino un richiamo parte del presidente della terza Corte d'Assise d'appello Vincenzo Roselli ("non esageriamo, Procuratore generale, i lager erano ben altra cosa...").
Enfasi a parte, Rubolino dice a chiare lettere che Cucchi non fu assistito a dovere, fu trascurato e ignorato da chi invece avrebbe dovuto avere nei suoi riguardi un'attenzione e una sensibilità diversa. E quei sanitari che, a suo dire, hanno agito con "colpa gravissima, quasi marchiana, ai confini di un dolo eventuale", non possono meritare neppure le attenuanti generiche, benchè incensurati: da qui la richiesta di condanna a 4 anni di reclusione per il primario Aldo Fierro e a 3 anni e mezzo per i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo. Già all'ingresso del Pertini, racconta in udienza il magistrato, Stefano Cucchi presentava una condizione psico-fisica assolutamente incompatibile con il ricovero in quella struttura protetta, "lontana da occhi e orecchi indiscreti". Al ragazzo, reduce dal pestaggio avvenuto nelle fasi successive al suo arresto ("fatto giustamente") per droga, sofferente per una frattura della vertebra sacrale e per un trauma sopraccigliare con versamente del sangue sotto gli occhi e con un battito cardiaco già sotto la soglia di allarme, veniva somministrato, durante il ricovero, solo un antidolorifico che contribuiva a rallentare il cuore. "Era celiaco - fa notare il Pg - e quindi manco il pane poteva mangiare. E cosi' gli veniva solo data dell'acqua, senza neppure lo zucchero". Troppo tardi, però, "perché quello che i periti hanno definito un catabolismo proteico 'catastroficò (il corpo di Cucchi cioè si nutriva delle sue stesse cellule) era ormai già avviato. Al momento del decesso il peso del detenuto si aggirava intorno ai 37 kg, come se Cucchi si fosse trovato in un lager. Lui rifiutava cibo e terapie perchè nessuno lo metteva in contatto con il suo avvocato. E nessuno dei medici si è attivato in tal senso". Per Rubolino, la Corte di Cassazione, annullando l'assoluzione dei medici, "ha evitato che sulla vicenda calasse una pietra tombale" e che "la giustizia si arrendesse". E "ora - è l'appello lanciato ai giudici dal Pg - mi rivolgo a voi perché Stefano non muoia una terza volta".
"Oggi al processo contro i medici, alla corte di Assise d'appello di Roma, accade questo: il procuratore generale inizia la sua requisitoria affermando chiaramente che Stefano è stato vittima di tortura come Giulio Regeni. 'Stefano è stato ucciso dai servitori dello Statò. 'Si tratta di stabilire solo il colore delle divisè". Cosi' in un post su Facebook Ilaria Cucchi, la sorella del geometra romano arrestato nella notte tra il 15 e 16 ottobre del 2009 e morto una settimana dopo al Pertini.
(AGI)