Roma - "Questo riguarda i bambini": inizia così la lettera che il gruppo di vittime australiane della pedofilia ha scritto al Papa per chiedergli un incontro, durante le audizioni del cardinale Pell ,accusato di aver coperto abusi compiuti da religiosi in Australia. "I bambini - prosegue il testo - che sono stati abusati e danneggiati nel passato, e la protezione dei bambini nel futuro. Vorremmo chiederle un incontro per discutere un impegno in favore dei bambini del passato e dei bambini del futuro, per attuare misure perché ciò non si ripeta mai più". La breve lettera manoscritta si conclude così: "Rispettosamente, le vittime di abusi dei preti in Australia. Ritorneremo in Australia venerdì".
Le 15 vittime di abusi sessuali compiuti da sacerdoti giunte in Italia dall'Australia per seguire da vicino la deposizione del cardinale George Pell, attuale super-ministro delle finanze vaticano, hanno espresso il desiderio di essere ricevute da Papa Francesco prima di lasciare Roma. La notizia è trapelata dall'Hotel Quirinale, dove nella Sala Verdi l'audizione del porporato si svolge in teleconferenza a causa del certificato medico, attestante una condizione fisica che non permetterebbe un viaggio Oltreoceano, presentato da Pell alla Commissione Reale di indagine sugli abusi che gli chiede conto della gestione dei casi nell'aricdiocesi di Melbourne, della quale è stato arcivescovo dal 1996 al 2001 dopo esserne stato ausiliare e prima ancora vicario episcopale. La terza seduta, iniziata alle 22 di ieri ora italiana in un clima più sereno di quello delle precedenti, si è infiammata a causa di alcune frasi di Pell che le vittime hanno ritenuto offensive. A suscitare sdegno è stata in particolare l'affermazione: "A volte i genitori delle vittime non vogliono che il loro caso passi nelle mani della polizia o delle autorita' ecclesiastiche".
Momenti di tensione si sono verificati nella Sala Verdi anche quando il cardinale Pell ha definito "inadeguata" la rete di informazioni che arrivarono al suo ufficio di arcivescovo di Melbourne. E ha detto, di fatto addossando ogni responsabilità ad altri e sgravando se stesso: "non credo che avrei potuto fare qualcosa di più di quanto ho fatto". Secondo i membri della Commissione Reale, invece, l'attuale ministro delle finanze di Papa Francesco avrebbe potuto impedire allora il perpetuarsi di questi crimini semplicemente non voltando la testa da un'altra parte. E questo ritengono amche le vittime, tanto che nella Sala Verdi una signora ha imprecato contro Pell a voce alta. In sostanza, il cardinale australiano sostiene di essere stato ingannato dal "sistema dell'epoca" perché era risaputo che lui non avrebbe accettato lo stato delle cose e avrebbe proceduto adottando "azioni decisive". "Sapevano che avrei fatto domande scomode se fossi stato meglio informato", ha detto. Un ragionamento che contrasta con la realtà e anche con altre dichiarazioni fatte poco prima dallo stesso Pell che, ad esempio, si è dilungato a descrivere quello che ritiene essere un suo capolavoro (e che per altri e' invece una ulteriore percossa assestata a persone ferite gravemente dai preti abusatori): il cosidetto "Melbourne Response" da lui creato quando era vescovo ausiliare e che poi ha utilizzato da arcivescovo, uno schema di risarcimenti per le vittime volto a disincentivare le onerose cause giudiziarie contro la diocesi. Lo schema però è stato ampiamente criticato dalle vittime e dalle loro famiglie durante tutto il corso dell'indagine condotta dalla Commissione d'inchiesta australiana sulle risposte delle istituzioni agli abusi sessuali sui minori.
Nel corso di una pausa dell'audizione di questa notte i giornalisti hanno chiesto dei commenti alle vittime presenti nella Sala Verdi e una di loro ha detto che "Pell avrebbe potuto essere l'eroe dell'Australia se solo fosse stato chiaro sin dall'inizio". "Non vogliamo recriminare quello che è successo - afferma da parte sua Paul Levey, vittima per oltre sei mesi, tutti i giorni, del prete Gerald Ridsdale - vogliamo solo che la Chiesa ci aiuti a sostenere e a salvare le tante vittime che ancora non hanno parlato e che invece hanno bisogno di aiuto, per evitare altre morti premature che noi chiamiamo suicidi perche' tutti noi abbiamo provato a suicidarci, per fortuna forse, senza riuscirci e la città di Ballarat, che è molto cattolica, è scioccata da quello che è emerso. E inoltre, continua Paul - vogliamo l'aiuto del Pontefice e della Chiesa perché questo non accada più, vogliamo proteggere i nostri figli da quello che abbiamo sofferto noi". (AGI)
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