Roma - (di Gianfranco Coppola) "La norma per poter applicare la 'stepchild adoption' c'è già, è quella dell'articolo 44 della legge 184 del 1983". Lo dice all'Agi il giudice Melita Cavallo, in pensione da alcune settimane, dopo essere stata a lungo presidente del Tribunale dei minori della capitale che, primo fra tutti in Italia, ha dato il via libera alla 'stepchild adoption', consentendo a una donna di adottare la figlia della convivente. Un provvedimento, confermato in appello il 23 dicembre scorso, citato come esemplare dal presidente Luciano Panzani, che durante la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario ha parlato di "sentenza bella ed equilibrata".
Unioni civili, nervi tesi e trattative
Mentre il ddl Cirinnà sulle unioni civili, che ha nella 'stepchild adoption' uno dei punti più controversi, il giudice Cavallo rileva: "La nostra sentenza sull'adozione gay è stata sicuramente coraggiosa e significativa anche se da tanti quasi oltraggiata, direi. Il problema è che in Italia c'è una cultura omofoba molto diffusa. Formalmente siamo uno Stato laico, ma i condizionamenti e i pregiudizi resistono". "Il collegio del tribunale che si è occupato di questa adozione gay - racconta all'Agi la dottoressa Cavallo - si è molto interrogato su questo caso. E ci siamo limitati a interpretare la norma esistente alla luce dei dettami della Costituzione, delle sentenze della Consulta, di quelle di legittimità della Cassazione, e degli orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. E' stata la nostra una sentenza molto meditata e il fatto che Panzani abbia riconosciuto questo impegno e questo nostro equilibrio mi riempie il cuore di gioia. Eppure ci sono stati colleghi di altri tribunali che non hanno condiviso il nostro orientamento e non l'hanno recepito".
"Ecco perchè - sottolinea il magistrato - serve una legge, affinché tutti possano vedere riconosciuto allo stesso modo il loro diritto. Noi, nel frattempo, siamo andati avanti per la nostra strada, trattando una decina di casi analoghi e sempre avendo come punto di riferimento prioritario il benessero psico-fisico del minore. Decidiamo di volta in volta sul caso pratico, ben sapendo che sono i legami affettivi a pesare di più".
In questi giorni in Italia è fortissimo il dibattito sulle unioni civili, approdato in Senato per la discussione. La sua opinione? "Se non passa la legge, l'Italia rischia di perdere molti colpi. Quello delle unioni civili è un tema che merita di essere regolamentato giuridicamente. In Europa sono già parecchio avanti, lo sono pure Paesi molto cattolici come la Spagna. Io spero tanto che la legge passi anche se non riesco proprio ad accettare questa storia del voto segreto. Per me è una perdita di dignità, trovo assurdo che non ci si metta la faccia. Ormai non ha più senso parlare di famiglia tradizionale. Ci sono le famiglie miste, composte ad esempio da un italiano e da una russa, il che pone insieme una serie di problemi culturali. Ci sono le famiglie ricomposte o quelle costituite da partner dello stesso sesso. Dobbiamo prendere atto, insomma, che il nucleo familiare è ormai diversamente composto. Noi siamo abituati a lavorare con i bambini - spiega ancora Melita Cavallo -, capiamo subito se stanno bene oppure no, se avvertono differenze tra una mamma biologica e l'altra. Ma se un minore di 10 anni va bene a scuola, è socievole, gioioso, accetta di avere due mamme o due papà senza contraccolpi, che senso ha sradicarlo da quel contesto che gli è familiare? Noi sentiamo gli insegnanti, i pediatri, raccogliamo i pareri di chiunque possa dare un valido contributo avendo sempre come obiettivo da tutelare l'interesse del minore. Tante quante volte ci è capitato di affrontare casi di famiglie tradizionali in cui il minore viene maltrattato. Tantissime". (AGI)