Roma - Cresce in maniera esponenziale la concorrenza nel mondo dell'avvocatura e i piccoli studi, insieme agli avvocati 'di famiglia' fanno fatica a sopravvivere. La soluzione, secondo Roberto Pessi, prorettore della Luiss e ordinario di diritto del lavoro, potrebbe essere contingentare l'accesso alla professione parametrandola a quanti avvocati vanno in pensione.
"Come in tutte le professioni, e' un problema di numeri" dice Pessi all'Agi, "quando l'offerta e' superiore alla domanda, e' chiaro che si crea una situazione di debolezza negoziale, concorrenza accentuata, ribasso del valore della prestazione e potenzialmente molta disoccupazione e nuove poverta'". Pessi pero' avverte che si tratta di un "fenomeno macro e mircoeconomico che esiste da sempre". "Ormai abbiamo un numero di avvocati superiore a quello di metalmeccanici e infermieri" aggiunge "e l'eccesso di professione porta al calo dei prezzi. I grandi studi sopravvivono perche' hanno grandi clienti, ma l'avvocato di famiglia soffre anche se la litigiosita' con la crisi non e' calata".
"L'unica soluzione" conclude il docente "e' il numero chiuso a giurisprudenza e tenere conto di quanti avvocati vanno in pensione per valutare e regolare il flusso rendendolo standard. E' evidente che non possiamo impedire al cittadino di scegliere l'avvocato, ma il rapporto numerico va regolato in basse al tasso di contenzioso che consenta la convivenza tra una dignitosa professione, una giusta concorrenza e la garanzia di un'equa tutela legale". Pessi sottolinea che il fenomeno della negoziazione della tariffa e' in crescita. "Il soggetto pubblico, ad esempio, tende a distribuire il lavoro su piu' avvocati o addirittura indice un appalto. Un fenomeno mutuato dal privato, con una propensione al calmieramento del mercato e ad accettare compensi piu' bassi". (AGI) .
(20 gennaio 2016)