La scossa data alla politica italiana dall’elezione di Nicola Zingaretti come nuovo segretario del PD (e quindi dalla “archiviazione” del renzismo anche tra i dem) ha avuto degli effetti concreti e misurabili, sia nei sondaggi che nel comportamento degli attori politici. Cominciamo dai primi. Anche questa volta la nostra Supermedia vede confermate le tendenze viste nelle ultime settimane, nonostante un rallentamento che sembra indicare una sorta di assestamento dopo gli “scossoni” precedenti.
La Lega è il primo partito con il 32,1%: non il suo miglior risultato di sempre, ma comunque 10 punti abbondanti sopra il Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo conferma (con il 21,5%) il dato della settimana scorsa. Nonostante il trend negativo, il M5S rimane in seconda posizione con un vantaggio di mezzo punto sul Partito Democratico, che tocca quota 21%; anche per i dem la tendenza (in questo caso alla crescita) è però meno vistosa che in passato.
Tra le altre liste, sono da segnalare le variazioni in positivo (+0,5%) che riguardano Fratelli d’Italia e l’area a sinistra del PD che nel 2018 corse sotto il simbolo di Liberi e Uguali. Nel primo caso si tratta probabilmente di una conseguenza dell’attivismo di Giorgia Meloni sui temi identitari che sono stati al centro dell’agenda nelle ultime settimane; nel secondo, invece, l’aumento si deve è in buona parte allo “spacchettamento” dell’offerta nelle domande dei sondaggisti (le due ex componenti di LeU – Sinistra Italiana e MDP sono state sondate separatamente)
I dati aggregati però rischiano di nascondere dei segnali degni di nota: per gli istituti SWG e Tecnè, ad esempio, il M5S è risalito su base settimanale, mentre il PD ha visto un “rimbalzo” verso il basso. Nelle prossime settimane capiremo se questo è il preludio ad un’inversione di tendenza. Ad ogni modo, per il M5S si tratta di un nuovo record negativo: a questo punto l’obiettivo per le Europee diventa non solo quello di restare davanti al PD, ma soprattutto di non fare peggio del 2014, quando il Movimento ottenne il 21,2%.
Per minimizzare le sconfitte subite in occasione delle varie elezioni regionali degli ultimi mesi, i pentastellati hanno sostenuto convintamente che fosse improprio fare paragoni con elezioni di tipo diverso (in questo caso, le Politiche 2018). Ma se a maggio dovessero ottenere un risultato peggiore di quello 2014, nemmeno questa argomentazione sarebbe più sostenibile.
Dal punto di vista simbolico, forse il numero di questa settimana è però il dato aggregato dell’area di governo, che scende sotto il 54% (per l’esattezza 53,5). È la prima volta che accade in un anno, e cioè dal “boom” di M5S e Lega successivo alle elezioni del 4 marzo 2018. In quel caso si trattò di un classico “effetto bandwagon”, che tende a premiare i vincitori “percepiti” all’indomani di un appuntamento elettorale: se i due partiti nelle urne avevano ottenuto complessivamente il 50%, al momento della formazione del Governo Conte erano già saliti oltre il 55%, e nei mesi successivi sarebbero ulteriormente cresciuti.
Il calo dell’area di governo, e la contestuale crescita delle opposizioni (sia di centrosinistra che di centrodestra) probabilmente non aiutano un clima già non propriamente idilliaco. Le recenti tensioni sul ministro dell’Economia Giovanni Tria non sono un buon segnale in vista della presentazione di un DEF che si preannuncia quantomai delicato, data la situazione dei conti pubblici. Ed è solo l’ultimo dei fattori di tensione che nelle ultime settimane hanno inasprito i rapporti interni alla maggioranza.
In generale, il M5S ha alzato la voce nei confronti della Lega – probabilmente per contrastare la perdita di voti verso il PD di Zingaretti – e in certi casi si è passati dalle parole ai fatti: sulla castrazione chimica, ad esempio, la maggioranza si è spaccata, con il M5S che ha votato con il PD e la Lega con FDI. Le distanze si erano già accentuate in occasione del controverso “Congresso delle famiglie” di Verona.
Luigi Di Maio si è espresso con parole ben poco amichevoli verso gli organizzatori della kermesse (“fanatici”, “stile medioevale”), mentre Salvini vi ha addirittura partecipato in qualità di ospite. A sottolineare ulteriormente le distanze su questi temi, il sottosegretario Spadafora ha annunciato che il ddl Pillon – contestatissimo dalle opposizioni – non sarà sostenuto dal M5S, scatenando l’irritazione dei leghisti. In occasione del Congresso di Verona sono dunque tornati a riemergere temi eticamente sensibili e che riguardano le famiglie.
Ma come la pensano gli italiani su questi argomenti? Secondo i sondaggi non vi è quella spaccatura netta che sembrerebbe emergere dal dibattito pubblico: uno dei principali bersagli dei partecipanti del Congresso di Verona è la legge che attualmente disciplina l’aborto in Italia (nota come “legge 194”). Sul punto, sia le rilevazioni dell’istituto EMG sia quelli di Noto parlano di una maggioranza di circa i due terzi degli italiani che considerano positiva questa legge: il 66% per EMG (71% tra le donne), il 65% per Noto; solo una piccola minoranza (13-22 per cento) vorrebbe cambiarla – presumibilmente, in senso restrittivo.
Più divise le opinioni riguardo la definizione stessa di “famiglia”. Secondo l’Ipsos di Nando Pagnoncelli gli italiani si dividono esattamente a metà (47% vs 47%) sulla condivisione dell’affermazione “l’unica famiglia possibile è quella composta da uomo e donna”. Anche secondo EMG l’opinione pubblica è divisa su tale questione, ma vi è una leggera prevalenza di chi ritiene che l’elemento qualificante di una famiglia sia l’amore, e non il sesso dei suoi componenti.
"Cos'è per lei la famiglia?"
— Agorà (@agorarai) 28 marzo 2019
Il sondaggio di @FabrizioMasia1 #agorarai pic.twitter.com/P8w7Kx9oDu
Quando si va più sul concreto, però, le distanze tornano ad acuirsi anche su questo tema: secondo il sondaggio di Antonio Noto, la legge sulle unioni civili approvata nel 2016 che estende molti diritti prima riservati al matrimonio anche alle coppie non sposate (comprese quelle omosessuali), è promossa dal 60% degli italiani, mentre il 18% vorrebbe cambiarla. Anche questa legge è stata fortemente attaccata al Congresso di Verona: ma – su questo come su altri punti – sembra che la società italiana abbia complessivamente un orientamento decisamente più progressista che conservatore.