Ultimo appuntamento con la nostra Supermedia prima delle elezioni europee. Da questa domenica, infatti, scatterà il divieto di diffondere sondaggi nelle due settimane che precedono il voto del 26 maggio. Si tratta di una norma presente quasi soltanto in Italia, e che in questa occasione diventerà particolarmente “problematica”. Si voterà infatti quasi contemporaneamente in tutti e 28 gli stati dell’Unione Europea (incluso il Regno Unito) ma nelle due settimane di “black-out” sarà impossibile conoscere gli orientamenti politici degli elettori italiani a differenza di quelli degli elettori tedeschi, francesi, britannici e della quasi totalità degli altri stati europei.
Questo divieto andrà ad oscurare un periodo decisivo delle campagne elettorali: quello in cui matura la decisione di quella parte consistente di elettori il cui voto è più “volatile”, che non sono particolarmente legati a un determinato partito e che talvolta non sanno nemmeno se andranno a votare fino a pochi giorni – se non addirittura a poche ore – dall’apertura dei seggi.
L’esistenza di questo tipo di elettori è una costante in tutte le elezioni del mondo, ma in Italia può risultare ancora più decisiva proprio in occasione delle elezioni europee, quando il voto è meno “sentito” e l’affluenza alle urne è di norma piuttosto bassa. Vale la pena ricordare cosa accadde nel 2014: oggi tutti ricordiamo quelle elezioni per quel clamoroso 40,8% ottenuto dal Partito Democratico, a tre mesi dall’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Ma cosa dicevano i sondaggi alla vigilia del “black-out” cinque anni fa?
Come mostra il grafico, che mette a confronto i risultati ufficiali di quelle elezioni con l’ultima Supermedia che YouTrend pubblicò prima del voto, i sondaggi avevano effettivamente previsto l’ordine d’arrivo dei primi 4 partiti (PD, M5S, Forza Italia e Lega) ma si dimostrarono piuttosto incapaci di prevedere il massiccio spostamento di voti che negli ultimi giorni si spostò in una direzione ben precisa: alla fine il Partito Democratico ottenne ben 8 punti in più rispetto alla media delle rilevazioni demoscopiche, mentre il M5S fece peggio di quasi 4 punti.
Sarà così anche questa volta? Anche quest’anno si verificheranno grossi scostamenti nelle ultime settimane prima del voto? E se sì, in che “direzione” andranno? Non avendo la proverbiale sfera di cristallo, non possiamo rispondere con certezza. Ma vediamo cosa ci dicono i numeri di questa settimana.
Quello che 5 anni fa era il Partito Democratico – primo partito con più del 30% dei voti “virtuali” – è oggi la Lega di Matteo Salvini, che nella Supermedia calcolata sui sondaggi realizzati nelle ultime due settimane vale il 31,6%. In seconda posizione, staccato di quasi 10 punti al 22,3% c’è il Movimento 5 Stelle. Ad un’incollatura da quest’ultimo, in terza piazza, troviamo il Partito Democratico di Nicola Zingaretti (21,4%). Forza Italia (9,6%) e Fratelli d’Italia (5,2%) sono gli unici altri due partiti al di sopra della soglia di sbarramento, che alle Europee è fissata al 4%. Poco sopra il 3% c’è Più Europa, la cui alleanza con il movimento civico “Italia in comune” di Federico Pizzarotti non sembra aver dato lo slancio sperato. La Sinistra e gli ambientalisti di Europa Verde sono gli ultimi due soggetti rilevati dai sondaggi sopra l’1%, ma con questi numeri sarà per loro molto dura ottenere seggi a Strasburgo.
La distribuzione dei seggi per gli europarlamentari italiani resterebbe quindi identica a quella della scorsa settimana, con la Lega a quota 26, il M5s e PD sui 16-17 e poi FI con 8 (di cui uno alla SVP) e FDI con 4 seggi. Come abbiamo anticipato la scorsa settimana, gli equilibri politici in Italia sono molto diversi da quelli europei. Secondo i sondaggi, nemmeno questa volta a Bruxelles ci sarebbe spazio per una maggioranza alternativa a quella che ha sostenuto la Commissione Juncker negli ultimi 5 anni.
Nell’ultima stima di Politico.com, che proietta i seggi del prossimo Europarlamento aggregando i sondaggi di tutti e 28 i paesi UE, la somma di popolari, socialisti e liberali si attesta oggi sui 416 seggi su 751. L’alleanza tra questi tre gruppi avrebbe quindi un margine di 40 seggi sulla maggioranza assoluta, ma in caso di sorprese negative non è da escludersi un allargamento del fronte ai Verdi, che ad oggi ne potrebbero valere altri 40-50. Considerando che al di fuori di questo “blocco europeista” a geometria variabile vi sono forze politiche non coalizzabili (sinistra radicale, M5S, nazional populisti) si comprende bene come non vi siano al momento alternative realistiche alle larghe intese che hanno guidato fin qui l’esecutivo europeo.
Ma torniamo a concentrarci sui dati dei partiti italiani, perché la novità di questa settimana è il calo (a dir la verità piuttosto netto) della Lega. Anche se alcuni sondaggi di recente avevano accreditato il partito di Salvini addirittura oltre il 35%, il dato odierno di poco superiore al 31% rappresenta un segnale negativo, magari non preoccupante ma da non sottovalutare.
A cosa è dovuta questa leggera flessione, considerando che tutti gli altri principali partiti sembrano invece recuperare terreno? Se guardiamo al contenuto dell’agenda mediatico-politica delle ultime settimane, possiamo facilmente notare come essa sia stata pressoché monopolizzata dal caso Siri.
La vicenda si è chiusa solo da pochi giorni, con la decisione del premier Giuseppe Conte di ritirare le deleghe al sottosegretario della Lega, indagato per corruzione in un’inchiesta in cui risultano coinvolte anche persone ritenute vicine a Cosa Nostra. Sul punto, Conte ha fatto propria la posizione del Movimento 5 Stelle, che può così rivendicare forse la prima, vera vittoria nei confronti della Lega in questo primo anno di “coesistenza competitiva” al governo. L’insistenza con cui Salvini e la Lega hanno fatto quadrato intorno a Siri per molte settimane non sembra aver incontrato il favore degli italiani: secondo tutti gli istituti, la maggioranza degli elettori era favorevole alle dimissioni del sottosegretario indagato.
Come si nota bene dal grafico, la netta maggioranza degli italiani interpellati sull’argomento si è detta favorevole alle dimissioni di Siri. I dati disaggregati per partito ci raccontano inoltre di una particolare predisposizione degli elettori M5S a ritenere opportune le dimissioni (dal 76 al 92% a seconda dell’istituto). Ma ci dicono anche che c’era una certa spaccatura all’interno degli elettori leghisti: secondo Ipsos, EMG e Ixè, una quota compresa tra il 35 e il 43 per cento di chi oggi voterebbe Lega si è espresso a favore delle dimissioni di Siri. Anche per questo motivo, probabilmente, Salvini ha perso il suo primo braccio di ferro con Di Maio da quando i due sono al governo insieme.