Le elezioni regionali in Sardegna sono state, formalmente, solo delle elezioni locali. Ma il loro significato politico ha senz’altro a che fare con dinamiche politiche più generali. Anche se – almeno per adesso – sembrano non aver avuto conseguenze dirette sulla politica nazionale, a cominciare dal governo, si tratta di dinamiche ben fotografate dai sondaggi, che ormai da molte settimane (come rileva puntualmente la nostra Supermedia) parlano di una crescita della Lega – e del centrodestra in generale – a cui si accompagna un calo sempre più vistoso del Movimento 5 Stelle. È ciò che si riscontra anche questa settimana, con una novità ulteriore e significativa: la risalita del Partito Democratico.
I dati: nella Supermedia di oggi la Lega si conferma su valori molto alti – 32,9% –, inferiori a quelli dell’ultima settimana ma comunque in leggero rialzo rispetto a due settimane fa (ricordiamo che, essendo la nostra Supermedia basata sulle rilevazioni degli ultimi 15 giorni, i confronti più utili sono quelli su base quindicinale). Cala invece, e non di poco, il Movimento 5 Stelle, che anche questa settimana tocca un nuovo record negativo: il 23,1% è il frutto di un calo di oltre un punto e mezzo. I partiti con il miglior saldo positivo stavolta sono il PD e Forza Italia (+0,9% e +0,8% rispettivamente). Il primo risale sopra il 18%, (ri)avvicinandosi al risultato ottenuto alle Politiche 2018, mentre il partito di Berlusconi supera di slancio la soglia psicologica del 10% – e a questo punto è difficile non attribuirne il merito, almeno in parte, al ritrovato attivismo dello storico leader. In realtà è tutto il centrodestra ad essere in buona salute, se è vero che anche Fratelli d’Italia guadagna mezzo punto e la coalizione nel complesso ad oggi vale ben 11,5 punti in più rispetto a quanto ottenne il 4 marzo.
A questo punto sembra piuttosto evidente che le vicende delle ultime settimane (su tutte: il salvataggio di Matteo Salvini, “graziato” dalla Giunta per le autorizzazioni del Senato con il voto decisivo dei senatori M5S) hanno gravemente danneggiato la salute del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. I consensi in uscita sono andati, quasi certamente, a ingrossare le file di indecisi e astenuti (un insieme che nel complesso, secondo quasi tutti gli istituti, è oggi superiore al 30% degli italiani). Ma è verosimile che questa volta a giovarne siano stati anche il Partito Democratico e il centrosinistra in generale, che oggi torna su valori simili a quelli raggiunti alle Politiche dello scorso anno. Nel complesso, includendo anche l’area (ex) LeU, i progressisti ad oggi avrebbero più voti (circa il 2%) del Movimento 5 Stelle.
Proprio le elezioni in Sardegna hanno confermato come le difficoltà del M5S si siano tradotte – anche, ma non solo – in un afflusso di voti sia verso il centrodestra (e in particolare la Lega) sia verso il PD e il centrosinistra. Almeno stando a quanto emerge dall’analisi dei flussi elettorali, effettuati da diversi istituti, anche con diverse metodologie.
I flussi elettorali, infatti, possono essere misurati in due modi. il primo consiste in sondaggi “tradizionali”, in cui si incrociano le risposte sul voto attuale (in questo caso alle Regionali) con quello passato (le Politiche). Le analisi effettuate dagli istituti SWG, Tecnè e Noto raccontano tutte una storia simile: secondo Noto, su 100 elettori M5S alle Politiche in Sardegna 30 avrebbero disertato le urne, 25 votato Lega/centrodestra, 20 il PD/centrosinistra e solo 20 avrebbero confermato il proprio voto al Movimento; numeri molto simili a quelli registrati da SWG e da Tecnè: secondo quest’ultimo istituto, inoltre, su 100 voti andati alla Lega in Sardegna domenica scorsa ben 35 provenivano da ex elettori del M5S.
Il secondo metodo consiste nell’analisi dei voti di sezione, ed è un’analisi che può essere effettuata solo a livello comunale. È ciò che hanno fatto i centri di ricerca Cise e Cattaneo sui due maggiori comuni della Sardegna, Cagliari e Sassari: la cosa sorprendente è che i numeri ottenuti sono non solo estremamente simili tra loro, ma anche sostanzialmente analoghi ai dati di sondaggio visti in precedenza. L’analisi a livello comunale mostra come, per gli elettori in uscita dal M5S, Zedda sia stato molto più “attrattivo” a Cagliari (città di cui è sindaco) dove è stato votato da un numero più consistente di ex elettori pentastellati (25% per il Cattaneo, 30% per il Cise) rispetto a Sassari (13 e 19% rispettivamente).
Può darsi che i numeri positivi per il centrosinistra questa settimana riflettano, in buona parte, anche l’ottimismo per i risultati incoraggianti (nonostante la sconfitta) ottenuti in Abruzzo prima ancora che in Sardegna, poiché in entrambi i casi la coalizione si è rivelata la seconda forza, nettamente davanti al M5S. Di certo è improbabile che il PD stia vivendo una qualche forma di “entusiasmo” in vista delle primarie per la scelta del nuovo segretario nazionale, previste per domenica prossima. E il motivo di questo nostro scetticismo è presto detto: mai, prima di oggi, la competizione interna per la conquista della leadership del principale partito del centrosinistra era passata così sotto silenzio, senza suscitare particolare interesse nei media e comunque senza condizionare in alcun modo l’agenda politica del Paese. È per questo che, più che il nome del vincitore, si guarderà molto al numero dei votanti: l’obiettivo minimo dichiarato è quello di un milione di votanti. Come mostra il nostro grafico, sarebbe un dato comunque molto inferiore a quello (già basso rispetto ai precedenti) delle primarie 2017. Se nemmeno questa soglia venisse raggiunta, la lunga crisi del PD si aggraverebbe ulteriormente.
Il nome del vincitore è, come detto, un’incognita su cui c’è meno incertezza. Il motivo è che tutti i sondaggi finora realizzati (con tutte le difficoltà del caso, essendo molto difficile ottenere un campione attendibile di elettori che effettivamente si recheranno ai gazebo il prossimo 3 marzo) concordano che il vincitore sarà l’attuale governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. E non di poco: sia nelle stime di EMG che in quelle dell’istituto Noto e di Demopolis, Zingaretti è mediamente ben sopra il 50%, soglia necessaria per essere eletto senza passare da un voto “indiretto” dell’assemblea del partito. Maurizio Martina è molto staccato (sempre sotto il 40 per cento, se non addirittura al 30), mentre Roberto Giachetti – sempre stando ai sondaggi – potrà ritenersi molto soddisfatto se raggiungerà anche solo il 20% delle preferenze.