Come abbiamo constatato più volte, l’evoluzione del consenso politico normalmente segue un andamento di medio-lungo periodo. Con un’importante eccezione: quando si verificano eventi “dirompenti”, di grande impatto sull’opinione pubblica, le tendenze subiscono un’accelerazione perché che il consenso si sposta più velocemente del solito.
È esattamente ciò che è successo nelle ultime settimane: come ci rivela la nostra Supermedia, la centralità avuta dalla richiesta del Tribunale dei ministri di Catania di processare Matteo Salvini per il caso Diciotti – e la conseguente questione della decisione della Giunta per le immunità del Senato, con annesse sofferenze interne al Movimento 5 Stelle – ha avuto un effetto di notevole entità.
Quanto guadagna la Lega
In due settimane, la Lega guadagna circa un punto e mezzo (+1,4%) portandosi ad un nuovo valore record: il 33,5% non era mai stato nemmeno finora avvicinato dal partito di Salvini, che ad oggi conta quindi sul consenso (sia pure virtuale) di più di un italiano su tre. Da dove viene questo guadagno? Quasi certamente, in gran parte – come dimostrato anche dai flussi elettorali delle Regionali in Abruzzo, altro evento politico di grande impatto sull’opinione pubblica – dal Movimento 5 Stelle, che perde terreno quasi esattamente nella stessa misura (-1,6%) e tocca l’ennesimo punto più basso da diversi anni a questa parte, scendendo persino sotto il 24% (23,6).
L’ipotesi che i consensi persi in quest’ultimo periodo dal M5S siano andati in massima parte a Salvini è confortata dal fatto che l’aumento della Lega non si accompagna ad un calo degli altri partiti del centrodestra: al contrario, questi guadagnano terreno, con Forza Italia che torna sul 10% (non accadeva dal luglio scorso) e FDI stimata intorno a un buon 4,5%. I voti in uscita dal M5S non sembrano andare in direzione PD, che anzi arretra leggermente (-0,3%).
Ma è degno di nota il fatto che gli attuali consensi del M5S siano solo di poco superiori a quelli del centrosinistra “versione 4 marzo” (PD, +Europa e altri), e addirittura inferiori all’area progressista nel suo complesso: contando anche i voti di quella che fu (?) Liberi e Uguali, tale area raggiunge il 24,7%. Se le Regionali in Sardegna di domenica prossima vedranno nuovamente il M5S nel ruolo di terza forza (come in Abruzzo) è possibile che torni in auge sul piano nazionale, anche solo come “suggestione”, il classico bipolarismo centrosinistra-centrodestra.
Al momento però, stando alle aggregazioni della nostra Supermedia, il centrodestra come area politica sembrerebbe non avere rivali, si chiamino essi centrosinistra o M5S. La somma dei valori di Lega, Forza Italia e FDI arriva a sfiorare il 49%: quasi un italiano su due voterebbe per questi partiti. Ma attenzione: queste stime sono ottenuta attraverso domande sul voto alle singole liste, ed è certamente attendibile se si tratta di stimare il risultato di una competizione come le Europee, dove non ci sono coalizioni e ciascuna lista corre per sé.
Ma, si chiedono in molti, quale sarebbe il valore effettivo di un centrodestra che si riproponesse come coalizione per il governo del Paese? È quello che ha chiesto Quorum in un sondaggio realizzato per SkyTG24, da cui emerge come in realtà il centrodestra, se si presentasse alle elezioni politiche come coalizione, otterrebbe “solo” il 42,7%, circa 5,5 punti in meno rispetto alla somma delle liste separate. Abbastanza, probabilmente, per vincere le elezioni ottenendo la maggioranza dei seggi sia alla Camera che al Senato: ma non per “stravincere”.
Le 3 liste del #centrodestra (Lega, Forza Italia, FDI) valgono complessivamente il 48,3% dei voti. Ma “solo” il 42,7% dichiara di volerli votare come coalizione di governo#sondaggio @AgenziaQuorum/@you_trend per #ilConfine @SkyTG24 pic.twitter.com/1Z0mHKXDae
— YouTrend (@you_trend) 18 febbraio 2019
Sempre nell’ambito del sondaggio per Sky, Quorum ha stimato anche quale potrebbe essere il potenziale di una lista unica europeista “anti-sovranisti” come quella proposta dall’ex ministro Carlo Calenda. In questo caso la stima parla di un 20,1% dei voti potenziali: più del 18% di cui è accreditato il solo PD, ma – anche qui – un po’ meno della somma di PD e +Europa, pari al 21,5%. Anche una precedente indagine dell’istituto SWG stimava la “lista Calenda” tra il 20 e il 24 per cento.
Non sempre 2+2 fa 4
Ennesima dimostrazione di come, in politica, molto spesso 2 più 2 non faccia 4. Il prossimo segretario dei democratici (e gli altri leader interessati coinvolti da Calenda, da Della Vedova a Pizzarotti) dovrà compiere una scelta non semplice: massimizzare i voti degli “europeisti” con una lista unica che includa il PD e altri soggetti minori oppure tentare la corsa solitaria con il rischio che i soggetti minori in questione non raggiungano il 4% – e rimangano fuori dalla corsa all’Europarlamento.
La proiezione sul prossimo Europarlamento
A proposito della corsa per gli scranni di Strasburgo: negli ultimi giorni hanno fatto notizia i dati di uno studio, commissionato dallo stesso Parlamento Europeo e condotto dalla società Kantar, che ha stimato la ripartizione dei seggi sulla base degli ultimi sondaggi in ciascuno dei 27 Paesi dell’UE. Molti giornali e organi di informazione in generale hanno riassunto questi dati parlando di “boom” dei sovranisti e di fine della “grande coalizione” tra popolari e socialisti di cui è espressione la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker.
In realtà, i risultati di quella simulazione (del tutto analoghi a quelli effettuati da altri analisti indipendenti, come gli autori dei siti EuropeElects.eu o Pollofpolls.eu) non mostrano alcun “boom” degli euroscettici. È vero infatti che calano (e non di poco) i seggi attribuiti al PPE e al PSE, e che da soli questi due gruppi, per la prima volta, potrebbero non raggiungere da soli la maggioranza dei seggi; ma è altrettanto vero che i due gruppi che aumentano maggiormente il loro bottino, in prospettiva, sono i nazionalisti di ENF (di cui fa parte la Lega) ma anche i liberal-democratici dell’ALDE (il gruppo capitanato da quel Guy Verhofstadt che ha apostrofato il premier Conte chiamandolo “burattino”).
L’altro gruppo “eurocritico”, ECR, subirà una perdita consistente dovuta perlopiù alla Brexit (i Conservatori britannici andavano a sedersi lì), mentre dovrebbe restare pressoché invariato il peso dell’EFDD a cui si era iscritto il M5S nella passata legislatura sia quello dei Verdi – che di certo non sono assimilabili ai sovranisti. Insomma, la composizione del prossimo Europarlamento sarà di certo ben diversa da quella attuale, ma gli equilibri dovrebbero rimanere sostanzialmente invariati, con gli euroscettici (di destra, di sinistra e di centro) che resteranno in minoranza – per quanto consistente – e gli europeisti (popolari, liberali e socialisti) che dovranno trovare un accordo per esprimere la nuova Commissione avviando un difficile negoziato con i governi degli stati membri (a cui spetta la nomina dei singoli commissari).
Le incognite maggiori provengono, in verità, proprio da questo fronte: bisognerà vedere se i liberali, trainati (forse) da Macron, riusciranno a inserirsi nelle posizioni che contano, magari portandosi dietro i Verdi; o se Manfred Weber, spitzenkandidat dei popolari e probabile successore di Juncker, avrà davvero i numeri per estromettere i socialisti e sparigliare le carte, come qualcuno ipotizza. Staremo a vedere.