La notizia che emerge dai dati della nostra Supermedia dei sondaggi di questa settimana non è di poco conto: qualcosa è cambiato nelle tendenze di medio periodo.
Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, un cambiamento – anche radicale – nelle tendenze di breve periodo, ad esempio uno registrato da una settimana all’altra spesso vuol dire poco, a volte nulla. Le opinioni (e le preferenze elettorali) dei cittadini cambiano in modo costante ma lento, e sono proprio le tendenze di medio periodo quelle da tenere d’occhio per capire “l’aria che tira” nell’opinione pubblica. Cos’è cambiato allora rispetto a poche settimane fa?
Per chi si fosse perso qualche puntata, dal giorno successivo al 4 marzo (data delle elezioni politiche) si è assistito ad un massiccio effetto bandwagon (la tendenza a salire sul carro dei vincitori, ndr) di cui ha beneficiato soprattutto uno dei due “vincitori percepiti” delle elezioni: e cioè la Lega di Matteo Salvini, che ha guadagnato mediamente 3 punti al mese passando dal 17,8% delle urne a circa il 30% rilevato nelle ultime settimane. Di questo effetto bandwagon non si era invece giovato il Movimento 5 Stelle, che anzi dopo un primo momento di ulteriore rinvigorimento rispetto al risultato – già straordinario – del 4 marzo (il 32,7%) aveva preso pian piano a calare, soprattutto dopo l’annuncio dell’accordo di governo con la Lega e la formazione del governo Conte. Questo andazzo è durato fino al 21 giugno, giorno in cui la nostra Supermedia registrò un quasi-aggancio tra la Lega e il M5S che pareva preludere a un inevitabile, imminente sorpasso.
Ed è stato proprio allora che il vento è cambiato, e questo cambiamento si è manifestato essenzialmente in due modi: primo, il rallentamento della crescita della Lega, che continua a registrare aumenti, ma in misura più contenuta; secondo, la ripresa del Movimento 5 Stelle, che da un trend calante passa ad uno in lieve aumento. Nel concreto, questo ha fatto sì che il famigerato sorpasso non si è verificato. E quindi il M5S rimane, anche questa settimana, il primo partito, anche se il vantaggio sulla Lega è sempre infinitesimale (oggi i due sono separati di due soli decimali di punto: 28,9% contro 28,7%).
Il grafico delle liste
Chi non se la passa bene (ma questo non può dirsi una novità, dal momento che qui vi è una continuità con le tendenze registrate nei mesi scorsi) è il Partito Democratico, ma ancor di più Forza Italia, che per la seconda settimana consecutiva fa segnare un risultato medio inferiore al 10%.
Si tratta del peggior dato mai fatto registrare nelle nostre analisi dal partito di Silvio Berlusconi. Nel caso del PD i risultati non entusiasmanti possono essere dovuti al fatto che i democratici ad oggi fanno notizia solo per le loro intramontabili divisioni interne, decisamente poco appassionanti per i non addetti ai lavori (ma anche per tanti addetti ai lavori, bisogna ammettere).
Per ciò che riguarda Forza Italia, invece, è difficile non mettere in relazione questo trend calante con la sostanziale scomparsa dalla scena mediatica del suo storico leader, le cui ultime uscite pubbliche sono state delle riflessioni apparse, in forma di lettera pubblica, sul “Corriere della sera” – un tipo di uscita quanto mai insolita per l’ex Cavaliere.
Grafico aree/coalizioni
Come mostra il grafico dello storico, entrambi i partiti – che hanno costituito i due “pilastri” sui quali si è retto il bipolarismo tipico della Seconda repubblica – stanno venendo gradualmente distanziati due partiti protagonisti di questa fase storica. Se non faranno presto qualcosa per invertire la rotta, rischiano seriamente di raggiungere un punto di non ritorno pericoloso.
Grafico storico
Tra le notizie dell’ultima settimana, hanno destato particolare scalpore le dichiarazioni del ministro Savona (già al centro della “crisi di non governo” quando Mattarella si rifiutò di nominarlo ministro dell’Economia) che è tornato sulla scottante questione dell’uscita dall’Euro affermando che l’Italia debba essere pronta a tutto, nell’eventualità che possa essere “costretta” ad uscire dalla moneta unica. Dichiarazioni scottanti al punto che il vice premier Luigi Di Maio si è affrettato a dichiarare che il governo non ha nessuna intenzione di uscire dall’Euro. Anche perché la battaglia contro l’Unione Europea – e contro la moneta unica in particolare – non sembra il cavallo giusto su cui puntare. Secondo il recente sondaggio di Quorum/YouTrend per SkyTG24 solo il 34% degli italiani vorrebbe che si tenesse un referendum sulla permanenza del nostro Paese al sistema della moneta unica; e se una simile consultazione dovesse tenersi, oltre il 74% voterebbe per restare nell’Euro.
Grafico euro sì euro no
Eppure, una linea politica fortemente “euro-critica” potrebbe comunque essere allettante per i partiti di governo, se ciò incontrasse il favore dei loro rispettivi elettorati.
Ebbene, non è neanche questo il caso: disaggregando le risposte in base alle intenzioni di voto, il sondaggio in questione ha fatto sì emergere delle differenze piuttosto nette a seconda di quale sia il partito preferito; ma in nessun caso coloro che vorrebbero uscire dall’Euro sarebbero in maggioranza: si va infatti dal 94,1% di pro-Euro tra gli elettori del PD (dato che non sorprende) al 63,1% degli elettori della Lega, passando per il 68,4% di elettori del M5S che voterebbero per la permanenza dell’Italia nella moneta unica.
Insomma, assumere posizioni “eurocritiche” conviene più quando si tratta di questioni attinenti alle politiche sui migranti che non riguardo l’economia e la moneta. Quando si tratta di prendere decisioni che potrebbero impattare direttamente sul proprio benessere, infatti, gli italiani si scoprono molto prudenti. Al punto che quasi la metà degli intervistati (ben il 45%) si dichiara pronto a togliere i suoi soldi dalla propria banca in caso di “eurexit”.