La scorsa settimana avevamo descritto come probabilmente imminente il sorpasso della Lega sul Movimento 5 Stelle, dal momento che il partito di Salvini risultava aver drasticamente ridotto – fino quasi ad annullare – il gap che lo separava dal partito di Di Maio, che alle elezioni politiche del 4 marzo superava i 15 punti percentuali.
Se nella Supermedia del 22 giugno questo gap si era ridotto ad un solo punto, con il M5S sempre davanti ma in pieno trend calante mentre la crescita della Lega sembrava inarrestabile, questa settimana il tanto annunciato colpo di scena non si è verificato.
Anche se forse dovremmo dire “non ancora”. Perché, anche se le posizioni non si sono invertite, il distacco in effetti continua a ridursi: questa settimana la nostra Supermedia (basata sulle rilevazioni effettuate da 9 diversi istituti negli ultimi 15 giorni) ci dice che il vantaggio del M5S sulla Lega si è ridotto a un misero 0,5 per cento.
Siamo in pieno margine di errore statistico: impossibile quindi dire chi sia effettivamente in testa, dal momento che 4 istituti danno in vantaggio la Lega e 5 il M5S, e sempre di pochissimi punti l’uno o l’altro. L’analisi dei trend di medio periodo però ci suggerisce che questo sorpasso, salvo clamorose inversioni di tendenza, sta effettivamente per compiersi.
Anche se il M5S si mantiene sui valori della settimana scorsa senza scendere ulteriormente (28,5%) la Lega fa segnare il suo nuovo record di sempre (28%). Questo record ne porta con sé altri due: quello del consenso complessivo ai due partiti di maggioranza del governo Conte (che oggi valgono insieme il 56,5%) e quello dell’area di centrodestra, che cresce ulteriormente arrivando a sfiorare il 43% e dando ulteriore robustezza alle ipotesi di una maggioranza assoluta al centrodestra in caso di elezioni anticipate. Lo strano “tripolarismo asimmetrico” che il 4 marzo ha fatto sì che nessuno dei tre poli principali ottenesse la maggioranza viene così ad essere reso virtualmente innocuo dalla crescita di uno dei tre poli e dalla perdita di consensi degli altri due.
Nonostante un risultato tutto sommato incoraggiante in occasione del primo turno delle elezioni comunali del 10 giugno scorso (che hanno evidenziato come a livello locale in molte realtà il centrosinistra sia ancora competitivo, se non addirittura maggioritario), i ballottaggi di domenica scorsa sono stati una “doccia fredda” per il PD, che ha perso molte delle sue roccaforti storiche dall’elevato valore simbolico (tra le più importanti: Siena, Pisa e Massa in Toscana, Imola in Emilia-Romagna, Terni in Umbria) e ha visto esplodere nuovamente al suo interno l’ormai eterno dibattito sugli errori commessi in passato, sul congresso imminente e sul leader futuro.
Proprio il risultato dei ballottaggi ci è utile per interpretare la fase politica attuale e soprattutto le prospettive future, quantomeno a breve termine. La vittoria del centrodestra per quanto riguarda i comuni conquistati (non solo a livello numerico ma anche e soprattutto simbolico) lascia infatti presagire che almeno nelle prossime settimane si consoliderà l’immagine di un Matteo Salvini “vincente”, mediaticamente egemone nel centrodestra e in grado sostanzialmente di dettare l’agenda della politica italiana cavalcando l’argomento migranti come avvenuto negli ultimi tempi. Difficilmente questo porterà ad un arresto della crescita dei consensi per la Lega, o addirittura a una sua diminuzione. Mentre le 5 vittorie sui 7 ballottaggi a cui era riuscito ad accedere il Movimento 5 Stelle lasciano intravedere speranze di invertire la tendenza che vede il M5S in calo ormai da molte settimane. Del resto, che il Movimento non abbia perso uno dei suoi punti di forza (ossia la trasversalità, emersa in sede di ballottaggi alle Comunali quest’anno come avvenuto anche negli anni scorsi) è per Di Maio e compagni una buona notizia.
I dati sul rendimento dei candidati delle varie aree/coalizioni in sede di ballottaggi sono piuttosto indicativi. Escludendo le voci “sinistra” e “destra” (rappresentate rispettivamente da due candidati e un solo candidato, quindi non molto rappresentativi come dai) possiamo notare come la competitività dei vari candidati sia legata alla loro appartenenza politica. Candidati di centrodestra e centrosinistra perciò ottengono prestazioni tutto sommato comparabili, vincendo poco meno della metà dei ballottaggi a cui prendono parte e guadagnando consensi in misura tutto sommato limitata rispetto al primo turno. Viceversa, sono proprio i candidati del Movimento 5 Stelle e quelli di ispirazione civica (cioè che si erano presentati senza simboli di partito nazionali nelle loro coalizioni) a trarre i maggiori benefici dal loro non essere connotati politicamente, il che consente loro di fare più facilmente il pieno di “seconde preferenze” – cioè proprio quelle necessarie per vincere i ballottaggi.
Gli stessi numeri ci dicono che il centrosinistra a trazione PD è invece la coalizione/area politica meno attrattiva verso gli elettori esterni, dal momento che i suoi candidati riescono ad attrarre mediamente “solo” un ulteriore 14% di elettori che non li avevano votati al primo turno. Si conferma un dato che era emerso già da alcune indagini effettuate in occasione delle elezioni politiche: e cioè la “solitudine” del PD, che negli ultimi anni ha incarnato l’élite politica al governo del Paese e i cui elettori risultano i più distanti da quelli degli altri partiti su tutta una serie di tematiche che hanno segnato il dibattito pubblico e su cui si sono posizionate le forze politiche. Un tema, questo, che avremo modo di approfondire maggiormente nelle prossime settimane.