L’attualità politica subisce un’accelerazione improvvisa, dopo oltre due mesi di non-notizie e di giri di consultazioni finiti in un nulla di fatto insieme alle trattative tra i partiti allo scopo di formare un governo.
La notizia dell’accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega dopo il “passo di lato” di Forza Italia annunciato da Berlusconi è ancora troppo fresca per avere ripercussioni sui sondaggi, che richiedono qualche giorno per essere realizzati (e pubblicati) e comunque devono a loro volta attendere che l’opinione pubblica recepisca e “digerisca” a suo modo un qualsivoglia accadimento.
Se questo annuncio ha avuto un effetto quantificabile sulle opinioni dei cittadini e sulle intenzioni di voto, lo scopriremo verosimilmente non prima di una settimana (forse anche due). Ma è comunque molto utile, nel frattempo, vedere come stava “evolvendo” il clima di opinione alla vigilia di questo accordo. Per capire, in altre parole, se questo importante sviluppo possa in qualche modo essere stato “sospinto” dagli orientamenti che andavano emergendo tra gli elettori.
La Supermedia di questa settimana, in questo senso, sembra effettivamente suggerirci qualcosa. Nel voto alle liste, per la prima volta dal periodo post-voto, si nota una flessione del Movimento 5 Stelle. “Flessione” in realtà è un po’ forzato: il dato del M5s di questa settimana risulta identico, al decimale, a quello – per la verità notevole – ottenuto alle elezioni politiche: 32,7%. Ma è la prima volta dal 4 marzo che la nostra Supermedia registra per il partito di Di Maio un valore inferiore al 33%: come se si fosse azzerato, in pratica, l’effetto “bandwagon” (per la verità limitato) registrato nel periodo post-voto.
Chi invece non ha visto ridimensionare questo effetto – anzi – è la Lega di Salvini, che questa settimana fa registrare un netto balzo in avanti passando dal 21,4% al 22,4. Sono esattamente 5 punti in più rispetto alle Politiche, e non può certo trattarsi di una coincidenza. Anche perché, nel complesso, il centrodestra prosegue nel suo lento incremento, con Forza Italia che risulta sempre al di sotto del dato del 4 marzo (di poco meno di 2 punti) ma comunque non crolla: l’avanzata di Salvini quindi non sta avvenendo a spese di Berlusconi, se non in parte. Tra la coalizione di centrodestra e il M5s ci sono al momento quasi 6 punti e mezzo, un margine ben superiore ai 4,3 punti emersi in sede di voto.
A conferma del fatto che la partita sul governo è stata quella che ha maggiormente orientato gli spostamenti nelle intenzioni di voto in questo periodo è il fatto che tra i partiti esclusi (anche per scelta propria) da questa partita i cambiamenti siano davvero minimi: il PD rimane un pelo sotto il 18%, con l’area di centrosinistra globalmente di poco sotto il 21% e LeU che riprende leggermente quota agganciando nuovamente la soglia del 3%. Anche per Fratelli d’Italia il dato è molto simile, sia a quello delle elezioni sia a quello della Supermedia della scorsa settimana.
Ma come possono questi dati spiegare la dinamica degli sviluppi più recenti? Lo capiamo meglio se a questi si affiancano quelli relativi alla fiducia nei confronti dei principali leader. In questo caso, più che il dato in sé (di interesse relativo, dal momento che l’indice di fiducia verso un esponente politico è quasi sempre scollegato dalle intenzioni di voto per il partito o la coalizione di appartenenza) è interessante mostrare la tendenza. Quindi, abbiamo scelto di mettere l’accento sull’evoluzione del dato registrato dagli stessi 3 istituti demoscopici a distanza di poche settimane.
Il dato che emerge, in questo caso, è piuttosto netto: si è assistito a un calo – evidente – dell’indice di fiducia nei confronti di Luigi Di Maio e allo stesso tempo ad un aumento del gradimento verso Matteo Salvini. Questi due andamenti, insieme alla “stagnazione” dei consensi al M5S e alla continua crescita della Lega, riflettono probabilmente un sentimento degli italiani relativo alla “responsabilità percepita” della lunga fase di stallo delle trattative per il governo. Disponendo del maggior numero di parlamentari, ed avendo assunto (forse persino con eccessiva disinvoltura) una posizione centrale in queste trattative, dimostrando indifferenza verso il nome del “partner” di maggioranza (Lega o PD, entrambi a lungo “sondati”), è del tutto logico che sia stato Di Maio a subire le maggiori ripercussioni di quelli che finora sono stati degli insuccessi. Di contro, la crescente fiducia registrata nei confronti di Salvini (insieme alla crescita della Lega e del centrodestra nelle intenzioni di voto) hanno probabilmente spinto da un lato Berlusconi ad acconsentire all’alleato leghista di “svincolarsi”, dall’altro allo stesso M5S di ammorbidire i toni, precedentemente oltranzisti, nei confronti del coinvolgimento di Forza Italia nelle trattative.
Nelle prossime settimane, come detto, vedremo se l’accordo annunciato mercoledì sera avrà degli effetti sul gradimento degli italiani verso partiti, leader e coalizioni.