Uno degli sviluppi possibili di una crisi di governo, come si sa, è lo scioglimento anticipato della legislatura e il ricorso ad elezioni anticipate. Questo si verifica quando un Governo si dimette e le successive consultazioni del Presidente della Repubblica non si risolvono nella formazione di un nuovo esecutivo. È quello che è successo ad esempio nel 2008, quando la caduta del secondo Governo Prodi portò all’interruzione anticipata della legislatura iniziata meno di due anni prima.
Per questo, quando si apre una crisi di Governo, bisogna essere pronti a qualunque scenario, inclusa l’extrema ratio, che è quella di misurarsi con il consenso degli elettori in tempi brevi. O, quantomeno, è bene ad essere pronto a ciò sia il soggetto che di fatto provoca e apre la crisi. Ed è sempre grazie a questa semplice constatazione che possiamo comprendere come mai la crisi che stiamo vivendo da oltre un mese sia così “strisciante”; come mai essa non riesca a trovare un qualsivoglia sbocco, sia esso una risoluzione pacifica o l’apertura di una crisi formale, conclamata.
Come abbiamo accennato la scorsa settimana, infatti, nessuno degli attuali componenti della maggioranza sembra avere molto da guadagnare da un ritorno anticipato alle urne. La simulazione YouTrend realizzata da Giovanni Forti e Alessio Vernetti, basata su 5 diversi scenari ipotetici fornisce un’ulteriore conferma di quanto si è appena detto.
Il punto da cui partire è la riduzione del numero dei seggi parlamentari, avvenuta in conseguenza del referendum costituzionale [LINK https://www.agi.it/politica/news/2020-09-22/regionali-referendum-pd-m5s-lega-fdi-9725349/ ] dello scorso 21 settembre con cui è stato ridotto il numero di deputati (da 630 a 400) e di senatori (da 315 a 200). La riduzione entrerà in vigore a tutti gli effetti proprio a partire dalle prossime elezioni. Meno seggi equivale a meno probabilità di essere rieletti, ed ecco perché questo taglio ha contribuito, secondo molti osservatori, a “blindare” la durata dell’attuale legislatura (che andrebbe a scadenza naturale, ricordiamolo, nel marzo 2023).
Poi però c’è la questione dei consensi, in base ai quali vengono ripartiti i seggi. E da questo punto di vista i 5 scenari da noi ipotizzati, basati sulla nostra ultia Supermedia di dicembre, restituiscono un esito piuttosto netto: in 3 scenari su 5 sarebbe il centrodestra ad ottenere la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato. Vediamo innanzitutto quali sono le caratteristiche e gli esiti di ciascuno scenario.
Il primo scenario è una riedizione, dal punto di vista delle coalizioni, delle elezioni politiche 2018: a un centrodestra unito si contrappone un centrosinistra in versione “minimal”, costituito dal PD e dalle sue “costole” (Italia Viva e Azione) e da +Europa, ma con il Movimento 5 Stelle e la sinistra di LeU in corsa solitaria. Questo scenario darebbe al centrodestra una vittoria estremamente ampia, con oltre il 60% dei seggi sia alla Camera che al Senato.
Il secondo scenario vede invece il PD alleato con il M5S e con la sinistra, mentre le componenti liberal (Italia Viva, Azione, +Europa) resterebbero fuori dalla coalizione. Si tratterebbe quindi di uno scenario analogo a quello visto in occasione delle ultime elezioni regionali in Liguria e – un anno prima – in Umbria. Ma, proprio come in occasione di questi due precedenti, anche in questa simulazione sarebbe il centrodestra a vincere, ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere.
Il terzo scenario è una variante del secondo, ma prevede che Forza Italia si stacchi dalla coalizione di centrodestra per unirsi al polo liberale. Quest’unica variazione avrebbe come effetto la perdita di competitività del centrodestra (sovranista) in molti collegi uninominali. E questo a sua volta avrebbe come esito una “vittoria” della coalizione PD-M5S. Ma per i giallo-rossi si tratterebbe solo di una maggioranza relativa, e non assoluta, motivo per cui in questo scenario nessuna coalizione potrebbe formare un Governo da sola, ma si renderebbe necessario ricorrere ad un accordo post-elettorale (come accaduto nel 2018 e nel 2013).
Lo scenario numero 4 è apparentemente il più “intuitivo”, poiché prevede che a sfidarsi siano gli schieramenti così come sono rappresentati in Parlamento oggi: la maggioranza di Governo contro l’opposizione di centrodestra, con un piccolo terzo polo rappresentato da +Europa e Azione. In realtà si tratta di un’ipotesi puramente accademica, poiché è davvero difficile pensare che – se Renzi facesse cadere Conte e la crisi sfociasse in nuove elezioni – sia possibile far stare Italia Viva e il M5S nella stessa coalizione. Peraltro, ciò avverrebbe inutilmente, visto che anche in questo caso il centrodestra otterrebbe la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato.
Il quinto e ultimo scenario è un’ipotesi un po’ “estrema”, poiché prevede che, godendo il centrodestra dei favori del pronostico, tutte le altre forze politiche si coalizzino per impedirne la vittoria. In questo caso, in effetti, questa mega-coalizione di ben 7 partiti riuscirebbe a ottenere una – risicatissima – maggioranza in Parlamento. Ma la governabilità sarebbe ovviamente tutt’altra faccenda, e si tratta comunque di un’ipotesi poco realistica, per gli stessi motivi visti per il quarto scenario.
Torniamo quindi alla domanda iniziale. Visti questi numeri, chi ci guadagnerebbe ad andare a elezioni? Viene istintivo rispondere: al vincitore. Già, ma quale? Ciascun partito, come abbiamo visto, ha infatti una sua “scala degli scenari” ordinate in base alla propria convenienza, dove l’obiettivo minimo è costituito dal rientrare in Parlamento (soglia di sbarramento permettendo) e quello massimo dall’aumentare il proprio bottino in termini di seggi rispetto alla situazione attuale (magari trovandosi anche nella coalizione “giusta”, ossia quella che avrà i numeri per governare).
Iniziamo dal partito che in questo momento “ha più di tutti”: il Movimento 5 Stelle, che con i suoi 190 deputati e 90 senatori è la principale forza politica e parlamentare del Governo Conte. Come abbiamo visto nel primo scenario, in caso di elezioni anticipate non solo la sua componente parlamentare si ridurrebbe drasticamente (41 deputati e 24 senatori), ma soprattutto tornerebbe all’opposizione come nella passata legislatura. Andrebbe un po’ meglio in caso di alleanza con il PD, magari allargando quanto più possibile la coalizione: in questo caso, il M5S potrebbe sperare in una sconfitta del centrodestra per conservare un potenziale di coalizione per formare un Governo. Ma tutto questo avverrebbe comunque a fronte di una drastica riduzione della sua rappresentanza parlamentare: anche in caso di exploit dei suoi candidati nei collegi uninominali, infatti, ben difficilmente il M5S potrebbe ottenere più di 80 seggi alla Camera e 40 al Senato, meno della metà degli attuali.
Un discorso simile può essere fatto per gli altri partiti di maggioranza. A perderci di meno potrebbe essere forse il PD, che nella migliore delle ipotesi potrebbe confermare buona parte dei suoi 92 seggi alla Camera e persino aumentare il suo score al Senato (dove attualmente il gruppo PD conta 35 iscritti). La sinistra di MDP-LeU ad oggi potrebbe riconfermare il dato elettorale del 2018 (e superare così la soglia del 3%), compensando il minor numero di seggi assoluti con dei candidati in collegi uninominali “sicuri” concordati in caso di coalizione con il PD. Ma in caso di vittoria del centrodestra, o di Parlamento senza maggioranza, è ben difficile che possa entrare in una maggioranza di governo trasversale.
Ad avere di più da perdere sarebbero però i parlamentari di Italia Viva, i cui seggi attuali sono il frutto di una scissione da un gruppo (il PD) le cui liste furono decise proprio dal leader di IV, quel Matteo Renzi che a inizio 2018 era ancora il segretario dei democratici. In nessuno scenario tra quelli ipotizzati il 3,2% che la nostra Supermedia attribuisce a IV sarebbe sufficiente a far rieleggere i 30 deputati e i 18 senatori che attualmente costituiscono le truppe renziane in Parlamento. L’unico esito positivo possibile, per gli ipotetici futuri parlamentari di Italia Viva, sarebbe un Parlamento senza maggioranza in cui si renda necessario – ancora una volta – un governo di larga coalizione.
In chiusura, vediamo l’aspetto più curioso, che spiega come mai (nonostante l’apparente unità) il centrodestra non sia affatto unito nell’auspicare il ritorno anticipato alle urne. Ad oggi, la Lega rappresenta quasi esattamente la metà dei consensi complessivi attribuiti alla coalizione. In quale scenario, dunque, il partito di Matteo Salvini potrebbe migliorare il suo bottino di 130 seggi alla Camera e 63 al Senato? Se consideriamo lo scenario più favorevole al centrodestra (il primo) e ipotizziamo che i seggi della Lega siano la metà di quelli attribuiti in totale alla coalizione, vediamo che alla Camera il Carroccio si fermerebbe a quota 124 seggi (-6 rispetto a oggi) mentre al Senato arriverebbe a un soffio dal riconfermare questa cifra (62).
Per quanto riguarda Forza Italia, è intuitivo che nuove elezioni costituirebbero un “bagno di sangue” dal punto di vista della rappresentanza parlamentare (visto il doppio effetto del minor numero di seggi in palio e del dimezzamento dei consensi al partito rispetto alle Politiche 2018).
Il partito di Silvio Berlusconi avrebbe convenienza a tornare alle urne solo se queste restituissero uno scenario in cui FI giochi un ruolo “pivotale”, cioè sia essenziale per la formazione di una maggioranza, anche di un monocolore di centrodestra. Ma, a conti fatti, l’unico partito che ha davvero convenienza a terminare il prima possibile questa legislatura, è Fratelli d’Italia: partito che oggi è all’opposizione con appena 33 deputati e 19 senatori, ma che in caso di nuove elezioni a breve potrebbe essere la seconda forza di una coalizione di Governo, finanche triplicando il numero dei suoi eletti.