Crisi o non crisi? Lo scontro tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi va avanti ormai da molte settimane, ed è diventato il principale argomento della politica italiana – forse con l’unica eccezione dei vari provvedimenti per il contenimento della pandemia. Eppure, dopo tutto questo tempo ancora non è chiaro come si concluderà questo scontro. Non sappiamo ancora se si arriverà a una crisi formale di Governo oppure no, quali saranno (se vi saranno) dei cambiamenti nella composizione dell’esecutivo o della maggioranza.
Che il rapporto di fiducia tra il premier e almeno una componente della maggioranza (Italia Viva) si sia rotto, non è certamente un mistero. Eppure, questa rottura tarda a far evolvere la situazione in un modo o nell’altro. I motivi di questo ritardo sono certamente di natura politica-istituzionale: in altre parole, non c’è accordo tra i vari attori politici (nella maggioranza, ma nemmeno nell’opposizione) su quale sia l’esito più auspicabile di questa crisi.
Ma c’è anche un altro motivo. Ed è che tutti gli attori di questa vicenda sono resi molto cauti dall’incertezza relativa agli orientamenti dell’opinione pubblica. Non è per niente chiaro come gli italiani reagirebbero alla caduta dell’attuale Governo e all’apertura di una crisi formale “al buio”, mentre il Paese è ancora impegnato nella lotta al Covid. Di certo, come hanno mostrato diverse simulazioni, si sa che tutte le componenti dell’attuale maggioranza (ma questo vale anche per una parte dell’opposizione) avrebbe da guadagnare in caso di elezioni anticipate – a legge elettorale invariata. E dal momento che tutti i partiti e i rispettivi leader sono impegnati in un difficile gioco di equilibri per uscire vincenti da questa fase limitando la perdita di consensi – o addirittura guadagnandone di nuovi – i dati di sondaggio diventano particolarmente preziosi.
Nell’attesa che riprenda la pubblicazione delle intenzioni di voto dopo le festività natalizie (e che si possa tornare a misurare lo stato di salute dei partiti con la nostra consueta Supermedia) diventa quindi importante ripercorrere ed esaminare in dettaglio che cosa è emerso dalle numerose inchieste realizzate nelle ultime settimane su questo argomento, anche per capire se e in che modo questo ha orientato le scelte degli attori politici nelle diverse fasi.
Inizialmente, le insoddisfazioni nella maggioranza sembravano preludere a un “rimpasto” (un’ipotesi che resta sul tavolo anche nelle ultime ore). Le continue frizioni avevano avuto come effetto quello di convincere molti italiani che fosse necessaria una discontinuità: in un sondaggio realizzato il 27 novembre da Tecnè, il 57,4% degli intervistati si diceva d’accordo con il “cambiare alcuni ministri”, una sensibilità piuttosto diffusa (42%) anche tra gli elettori dei partiti di maggioranza. Quasi subito però è emerso il tema del “tempismo”, ossia dell’opportunità di mettere mano alla composizione dell’esecutivo nel pieno della seconda ondata.
E infatti, secondo un sondaggio Ipsos di pochi giorni dopo (30 novembre) i favorevoli a un rimpasto continuavano ad essere la maggioranza relativa (45%) ma risultavano in crescita (36%) i contrari, con la motivazione che i politici non capissero “la gravità del momento” per fare discorsi simili. Poco dopo, un sondaggio di EMG certificava il “sorpasso”: l’ipotesi rimpasto era considerata giusta solo dal 26% degli italiani, mentre il 46% la reputava sbagliata. Dati confermati il 18 dicembre da SWG, che evidenziava anche una certa polarizzazione: a giudicare “auspicabile” un rimpasto era il 31% degli intervistati, ma questa quota era maggiore tra gli elettori dei partiti di centrodestra e minore tra quelli dei partiti di maggioranza.
Il rimpasto però è comunque un esito piuttosto “minimalista” tra quelli possibili in seguito a una situazione di tensioni interne alla maggioranza: con il passare delle settimane e l’inasprirsi delle tensioni, si è parlato sempre più esplicitamente di ipotesi più “drastiche”: crisi di Governo, dimissioni di Conte e forse persino elezioni anticipate. Le rilevazioni periodiche dell’istituto EMG hanno mostrato come si è evoluto l’orientamento degli italiani in questa seconda fase. Inizialmente, il 9 dicembre, l’ipotesi di una crisi di Governo era ritenuta “un errore” dal 56% degli intervistati, mentre solo il 23% la riteneva “inevitabile”. Non è dato sapere se queste valutazioni fossero un auspicio o una previsione: fatto sta che una settimana dopo (16 dicembre) le percentuali rilevate da EMG si sono molto riequilibrate, con gli “scettici” scesi al 46% e i “fatalisti” che li hanno quasi raggiunti, al 43%. L’ipotesi di una crisi di Governo sembra però essere tramontata con l’avvicinarsi delle festività natalizie, tanto che il 21 dicembre solo il 30% riteneva possibile una crisi di Governo a breve, mentre il 45% la escludeva.
Come abbiamo già visto, però, le aspettative degli italiani riflettono il loro orientamento politico, che li porta a leggere la realtà (e a ipotizzarne gli sviluppi futuri) in base a valori, convinzioni ed auspici anche molto diversi. La conferma arriva da un sondaggio di SWG del 18 dicembre, secondo cui solo il 21% degli italiani riteneva che si sarebbe verificata una crisi a breve, ma questa percentuale saliva al 46% tra gli elettori della Lega; viceversa, secondo questo sondaggio il 27% degli elettori ritiene che l’attuale esecutivo arriverà fino a fine legislatura, una previsione verso la quale sono più inclini gli elettori del PD e del Movimento 5 Stelle (45%).
Ma, al netto delle previsioni, quali sono le preferenze degli italiani in caso di una crisi di Governo? Quali sono gli scenari più (o meno) auspicabili? Anche qui, le rilevazioni demoscopiche sono molte, e mostrano anche una certa evoluzione col passare delle settimane (anche se va precisato che, trattandosi di sondaggi realizzati da istituti diversi, con domande e opzioni di risposta differenti, i confronti non sono immediati).
Ad esempio, nei dati SWG di inizio dicembre il 34% degli italiani auspicava un proseguimento senza cambiamenti dell’esperienza del Governo Conte II, mentre il 29% era favorevole a nuove elezioni, il 14% a un governo di unità nazionale e solo il 6% a un rimpasto. Una settimana dopo, Ipsos fotografava un 42% di favorevoli a un proseguimento senza variazioni dell’attuale esecutivo, mentre per l’11% era necessario un rimpasto e solo il 23% auspicava nuove elezioni (da segnalare poi il 12% che avrebbe voluto un nuovo governo, di centrodestra, ma senza passare dalle urne).
Il desiderio di continuità aveva dunque preso il sopravvento sulle prime esigenze (registrate soltanto poche settimane prima) di un rinnovamento? Probabilmente no, dal momento che sommando le opzioni che prevedono una discontinuità si raggiungeva la maggioranza assoluta: anche Tecnè, ponendo una domanda “secca” il 14 dicembre ha ottenuto un 56,7% di favorevoli all’ipotesi di un nuovo Governo (contro un 25,1% di contrari).
Una maggiore preferenza verso il ritorno alle urne emerge invece dalla ricerca di Arnaldo Ferrari Nasi del 17 dicembre, dove il 32% degli intervistati si dichiarava favorevole a nuove elezioni subito, il 22% a un governo di unità nazionale, il 21% a un esecutivo di transizione (guidato dallo stesso Conte) per portare l’Italia al voto in primavera e solo il 13% a un Governo Conte che durasse fino alla fine della legislatura. Anche un sondaggio realizzato da EMG tra Natale e Capodanno vedeva una prevalenza di chi, in caso di crisi di Governo, auspica un ritorno immediato alle urne piuttosto che la formazione di un nuovo esecutivo: 43% contro 33%.
Il tema dello scioglimento anticipato o in alternativa della formazione di un nuovo esecutivo (il terzo di questa legislatura iniziata nel marzo 2018) è importante, poiché a luglio di quest’anno scatterà il “semestre” bianco del Presidente della Repubblica, e non sarà più possibile sciogliere le Camere fino all’elezione del suo successore, cioè – verosimilmente – tra gennaio e febbraio del 2022.
Ma quanto durerà il Governo Conte? Su questo tema sembra che le previsioni degli italiani abbiano risentito delle tante polemiche intercorse tra i duellanti nel corso delle settimane. È quanto emerge da due rilevazioni “gemelle” effettuate da Euromedia il 15 e il 21 dicembre: se nella prima il 36% degli intervistati prevedeva che l’esecutivo durasse fino a fine legislatura nella seconda questi erano scesi al 32,9% (un dato analogo a quello rilevato nel frattempo da SWG, al netto dei “non so”). Per contro, è salita – dal 30,6 al 34,8% – la quota di quanti prevedono una caduta dell’esecutivo entro le (o in occasione delle) elezioni amministrative previste per la tarda primavera di quest’anno, e che vedranno andare al voto le principali città italiane (tra cui Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna).