Pd primo partito col 19,8%, Lega secondo col 13,9%, Fratelli d'Italia terzo col 10,6%. Il dato aggregato delle liste nazionali sul totale dei voti validamente espressi alle elezioni Regionali dice questo. Ma la verità è che dal voto nelle 6 Regioni (7 se si considera anche la Valle d'Aosta) emerge un quadro a dir poco disomogeneo, in cui ogni Regione fa letteralmente storia a sé. Vediamo perché.
Toscana
Partiamo dalla Toscana, forse la Regione più “decisiva”, quella il cui esito finale ha segnato vincitori e sconfitti (percepiti) di questa tornata elettorale. Lo spoglio ha rivelato come Giani sia riuscito a contenere gli assalti della candidata del centrodestra e alla fine a distanziarla di ben 8 punti. E un contributo notevole a questa “impresa” si deve certamente alla performance del Partito Democratico, primo partito della Regione con il 34,7% dei voti.
La mappa comunale del primo partito in Toscana non lascia dubbi: il PD ha continuato a esercitare la sua egemonia anche in occasione di queste Regionali, lasciando alla Lega (o più raramente a Forza Italia) solo pochi comuni, perlopiù nelle province di Grosseto, Arezzo, Pistoia e Lucca.
Il confronto con il dato aggregato in occasione di elezioni precedenti è ancor più emblematico. Pur con le dovute avvertenze, fondamentali in questi casi (sistema elettorale differente, affluenza più alta in occasione delle Politiche, ruolo importante di liste civiche/del presidente in occasione delle Regionali, etc) emerge come il PD sia l’unico tra i partiti maggiori a mantenere sostanzialmente inalterati i consensi rispetto alle precedenti occasioni.
Anzi, se aggiungiamo ai 560 mila voti del PD gli oltre 70 mila raccolti dalla sua “scissione” più significativa, cioè Italia Viva (deludente il 4,5% ottenuto dal partito di Renzi nella sua Regione) i consensi rispetto all’anno scorso e a quelli precedenti sono addirittura aumentati.
Per contro, si vede bene come vi sia stato un drastico ridimensionamento della Lega, del M5S e di Forza Italia. L’unico altro partito con un bilancio positivo è fratelli d’Italia, che quadruplica i suoi voti in termini assoluti rispetto a 5 anni fa, anche se resta nettamente alle spalle della Lega all’interno della corsa tutta interna al centrodestra.
Puglia
Storia simile, ma in realtà molto diversa, per la Puglia. Anche qui il risultato alla vigilia era incerto, e anche qui il centrosinistra con Emiliano ha ottenuto una vittoria con un margine tutt’altro che esiguo. A differenza che in Toscana, però, la coalizione di Emiliano non si reggeva su un partito-pilastro come il PD, ma era composta da ben 15 liste, molte delle quali le ritroviamo in testa ad alcuni comuni nella mappa del primo partito.
La maggiore frammentazione del voto, tipica delle regioni meridionali, nasconde però una dinamica simile a quella già vista in Toscana. Anche in questo caso, infatti, c’è un solo partito che mantiene stabili – e anzi accresce – i propri consensi, cioè il Partito Democratico.
E anche in questo caso, mentre Lega e Forza Italia calano e il M5S addirittura crolla (passando dagli oltre 900 mila voti di due anni e mezzo fa ai 165 mila di oggi), si conferma la crescita di Fratelli d’Italia, che diventa il primo partito di centrodestra nella Regione.
Va precisato che Fdi era il partito che esprimeva ufficialmente il candidato presidente della coalizione (Fitto) e che l’assenza di troppe liste “di contorno” (come invece per la coalizione di Emiliano) potrebbe avere un po’ falsato il confronto con il centrosinistra.
Campania
Dalla Puglia passiamo all’altra grande Regione del Sud al voto in questa tornata: la Campania. Qui la situazione appare come una sorta di “via di mezzo” tra Puglia e Toscana. Come per la Puglia, il gran numero di liste a sostegno del candidato vincitore (15 anche per De Luca) fa sì che vi sia una grande varietà nella mappa del primo partito.
Ma, come per la Toscana, emerge molto più nettamente il primato del PD. Non perché qui il PD sia andato meglio che in Puglia (anzi, è andato lievemente peggio: 16,9% contro 17,2%), ma perché la concorrenza qui è andata nettamente meno bene, con le tre principali liste di centrodestra (Lega, FI e FdI) che messe insieme arrivano a stento al 16,8%. E al secondo posto assoluto troviamo infatti la lista civica De Luca Presidente, con il 13,3%.
Guardiamo allo storico del voto ai partiti nazionali, e vedremo anche qui un trend già visto: un PD che rimane stabile (intorno ai 400 mila voti) come da 5 anni a questa parte, un crollo verticale del M5S – soprattutto rispetto alle Politiche 2018 – e un rimbalzo verso il basso della Lega.
Qui il centrodestra è apparso così “spompato” che nemmeno il dato di Fratelli d’Italia – di gran lunga il partito più “vivace” della coalizione, nel complesso delle sfide regionali – fa segnare un aumento rilevante, mentre Forza Italia è ormai anche qui il terzo partito della Regione, lontanissima dai suoi momenti migliori.
Liguria
Quello della Liguria è invece un caso più particolare. In questo caso il presidente uscente Giovanni Toti è stato riconfermato sconfiggendo nettamente l’unico candidato sostenuto da una coalizione tra PD e M5S. Ma, a differenza di Giani e degli altri due presidenti uscenti visti fin qui, il successo di Toti non è stato trainato da un partito nazionale, bensì da un soggetto politico che – sia pure nato con ambizioni nazionali – è di fatto una sua lista personale, ben radicata nella sola Liguria: la lista “Cambiamo con Toti Presidente”, che infatti, come si vede dalla mappa, è stata la più votata non solo nella maggior parte dei comuni ma anche sul piano regionale, con oltre il 22% dei voti
Ma nonostante queste particolarità, se guardiamo ai soli partiti nazionali e allo storico degli ultimi 5 anni, notiamo una sorprendente continuità con i casi già visti: anche qui infatti crolla il M5S (nella Regione di Beppe Grillo) e declina Forza Italia, la Lega rimbalza verso il basso dopo il boom del 2019 e FDI prosegue nel suo percorso di crescita. La novità, se così si può chiamare, è il calo del PD, che interrompe una tendenza positiva passando dai 185 mila voti di un anno fa ai 125 mila di oggi.
Veneto
Anche in Veneto, come e più che in Liguria, il protagonista indiscusso è il presidente uscente: in questo caso si tratta di Luca Zaia, rieletto con un incredibile 76% e con una lista personale in grado di superare il 44% dei consensi. Un buon risultato della lista del presidente non era inatteso, visti i numeri del consenso fatti registrare da Zaia già molti mesi prima delle elezioni, ma in questo caso si è andati decisamente oltre le aspettative. Alla vigilia c’era chi parlava di derby tra lista Zaia e lista “ufficiale” della Lega: ebbene, la prima ha prosciugato la seconda, quasi triplicandone il risultato (16,9%).
L’anomalia costituita dalla lista Zaia spiega certamente il crollo della Lega rispetto agli anni passati in una Regione in cui il partito di Salvini tutto è fuorché in crisi. Al netto del dato della Lega, quindi, è interessante ritrovare anche qui, nello storico, gli stessi pattern visti per le altre regioni: crollo del M5S e di Forza Italia, crescita (graduale ma continua) di Fratelli d’Italia, calo – come in Liguria – del PD, mai nemmeno in partita con la coalizione a sostegno di Lorenzoni.
Marche
Chiudiamo con le Marche, l’unica Regione a “cambiare colore” passando dal centrosinistra al centrodestra. Eppure, per ciò che riguarda il dato delle liste, assistiamo a uno strano paradosso: il PD perde le elezioni, ma è primo partito con il 25,1%; Fratelli d’Italia fa il boom, conquistando la presidenza con il suo candidato Francesco Acquaroli e sfiorando il 19%, ma il primo partito della coalizione resta la Lega, che si impone con un ottimo 22,4%. Marginale l’apporto di Forza Italia, ridotta al 5,9%, ma la vera notizia è il crollo del M5S che piomba al 7,1% ed elegge a malapena 2 consiglieri su 30 in una regione dove fin dal 2013 aveva conteso – o addirittura sfilato – al PD la palma di primo partito.
Bilancio finale
Lo sguardo d’insieme che abbiamo appena dato ci aiuta a comprendere come mai ogni Regione sia stata a tutti gli effetti una sfida indipendente e segnata da dinamiche locali e irripetibili. Eppure, abbiamo anche visto come alcune tendenze siano ricorrenti, indipendentemente dalla coalizione vincente, dalla dimensione della Regione o dalla sua latitudine. Ecco perché può essere interessante, sia pure a titolo puramente accademico, calcolare il dato aggregato delle liste nazionali sul totale dei voti validamente espressi:
1) Partito Democratico: 1.770.000 voti – 19,8%
2) Lega: 1.237.000 voti – 13,9%
3) Fratelli d’Italia: 949.000 voti – 10,6%
4) Movimento 5 Stelle: 658.000 voti – 7,4%
5) Forza Italia: 482.000 voti – 5,4%
6) Italia Viva / +Europa: 384.000 voti – 4,2%
7) Cambiamo: 141.000 voti – 1,6%
Nella classifica compare Cambiamo, ufficialmente un partito nazionale, anche se – come si è detto – l’unica regione in cui questa lista è effettivamente presente è la Liguria. Il Partito Democratico è dunque (ri)diventato il primo partito del Paese, superando la Lega? In realtà, se al dato della Lega sommassimo quello della lista Zaia (oltre 900 mila voti, 10% di quelli espressi nelle 6 Regioni) il totale assommerebbe a oltre 2 milioni, equivalenti al 24% circa dei voti espressi – un consenso in tutto e per tutto simile a quello che i sondaggi attribuiscono sul piano nazionale (come sa bene chi segue la nostra Supermedia) al partito di Matteo Salvini.