Se gli “Stati generali dell’economia” erano stati ideati (anche) per dare una scossa al quadro politico italiano, per il momento sembra che questo obiettivo non sia stato raggiunto. Ciò è vero, perlomeno, per quanto riguarda gli orientamenti politici degli italiani: la nostra nuova Supermedia dei sondaggi sulle intenzioni di voto è infatti una delle più “statiche” di sempre. Capita di rado che vi sia un partito che in due settimane non fa registrare alcuna variazione, sia pure minima: ebbene, questa settimana sono ben 5 i partiti che fanno segnare esattamente lo stesso identico valore di 15 giorni fa. A queste si aggiungono altre 3 forze politiche che si discostano solo in modo impercettibile (lo 0,1%) dai valori registrati lo scorso 11 giugno.
Come già avvenuto di recente, anche questa settimana la variazione più significativa riguarda la Lega, che cala di “ben” lo 0,3% – statisticamente poco più un’oscillazione. Ma anche il dato del Partito Democratico (+0,2%) è troppo contenuto per poter parlare di una tendenza.
Come si spiega questo immobilismo? Di certo non con la carenza di dati “freschi”: nelle ultime due settimane sono state pubblicate infatti 12 rilevazioni, da parte di ben 7 istituti demoscopici diversi. Uno sguardo alle tendenze di lungo periodo suggerisce che siamo in effetti entrati, da alcune settimane, in una fase di “stasi”. Passata la fase più acuta dell’emergenza Covid-19, che ha visto un netto calo della Lega e una ripresa del Movimento 5 Stelle (trainato dalla popolarità di Conte) e di Fratelli d’Italia, ora è come se tutto ciò avesse visto una battuta d’arresto: il calo della Lega è di molto rallentato (ha perso solo un punto negli ultimi 50 giorni), il M5S non riesce ad andare molto oltre il 16% e persino la crescita di FDI sembra essersi interrotta: in un mese, il partito di Giorgia Meloni è cresciuto di un misero 0,1%.
Ma c’è un’altra considerazione che si può fare, allargando lo sguardo alle aree politiche: un punto su cui tutti gli osservatori e gli studiosi concordano è che negli ultimi anni il consenso politico è volatile, e che in pochi mesi i rapporti di forza possono cambiare drasticamente. Questo è stato senz’altro vero nella prima parte di questa legislatura: tra il 2018 e il 2019 abbiamo assistito a un rimescolamento notevole nel comportamento di voto (registrato dai sondaggi ma certificato anche dalle varie elezioni regionali che si sono susseguite). Da molti mesi, però, questo non è più vero: a livello di aree politiche l’immobilismo risale a ben prima dell’emergenza coronavirus. Se si prendono in considerazione le aggregazioni delle ultime elezioni politiche – dove, per vincere nei collegi uninominali, i partiti formarono coalizioni politicamente omogenee prima del voto – notiamo che i rapporti di forza restano sostanzialmente invariati ormai dal novembre 2019.
Da più di sei mesi, ormai, i partiti di centrodestra messi insieme valgono circa il 50% o poco meno, quelli di centrosinistra tra il 27 e il 29 per cento (con un’area a sinistra del PD che vale il 2,5-3%) e il Movimento 5 Stelle oscilla intorno all’asticella del 15%. Come abbiamo notato più volte, quindi, anche se all’interno di ciascuna area possiamo assistere a un riposizionamento a favore di un certo partito e a danno di altri (come nel caso di Lega e FDI nel centrodestra), a livello aggregato l’orientamento politico degli italiani sembra essersi sedimentato. È ragionevole supporre che occorrerà un passaggio di fase significativo per smuovere questa situazione.
Gli Stati generali, come si diceva in apertura, sono però ben lontani dal poter essere un siffatto punto di svolta. Cerchiamo innanzitutto di capire cosa ne pensano gli italiani dell’iniziativa che ha pressoché monopolizzato l’agenda politica nazionale per dieci giorni. Diversi istituti di sondaggio hanno chiesto agli elettori che opinione avessero degli Stati generali: con risultati, però – come si nota dal grafico – piuttosto divergenti. Se per Tecnè e EMG la maggioranza relativa (41%) degli intervistati dichiarava di ritenerli “inutili”, con il passare dei giorni altri sondaggisti hanno visto diminuire i giudizi più severi: fino alla sostanziale promozione registrata da Ixè all’inizio di questa settimana, con il 54% degli italiani che ha definito gli Stati generali un’iniziativa “utile”.
I dati rilevati da Ipsos sono particolarmente interessanti perché mostrano una netta differenza di atteggiamento tra i diversi elettorati. Secondo l’istituto di Nando Pagnoncelli, circa 7 su 10 tra gli elettori di PD e M5S promuovono l’iniziativa, definendola “un’opportunità importante per elaborare proposte utili”; al contrario, il 61% degli elettori di Lega, Forza Italia e FDI boccia gli Stati generali, viste come “un’inutile passerella propagandistica” del Governo.
Il giudizio polarizzato sugli Stati generali riflette pienamente quello del loro principale ispiratore, promotore nonché attore protagonista, ossia Giuseppe Conte. Anche il premier infatti, nonostante una popolarità che resta alta (maggiore di quella di tutti gli altri esponenti politici, con la dovuta eccezione di Mattarella) viene visto in maniera radicalmente differente dagli elettorati dei diversi partiti. Secondo Demopolis, ha fiducia in Conte circa l’85% degli elettori di PD e M5S, un valore che crolla però al 4-5% tra gli elettori di Lega e FDI, nonostante la comunicazione molto istituzionalizzata del premier negli ultimi mesi. L’analisi di SWG aggiunte un elemento interessante: per la netta maggioranza (60%) di chi vota PD o M5S, Conte è una figura super partes, non legata a una forza politica particolare; un’opinione condivisa solo da una minuscola frazione degli elettori di lega (7%) e Fratelli d’Italia (17%), che invece per la maggior parte (oltre il 70%) ritengono il premier un esponente del centrosinistra o del Movimento 5 Stelle.
Infine, vediamo come è stata accolta la proposta principale avanzata dallo stesso Conte, proprio al termine degli Stati generali: la riduzione dell’IVA. Una proposta che non è stata certo accolta con favore unanime, né tra gli osservatori “tecnici” né tantomeno all’interno della stesso governo, con il ministro dell’Economia Gualtieri che ha dichiarato di preferire piuttosto un taglio del cuneo fiscale.
In questi giorni sono circolate ipotesi di abbassamento dell'Iva. Per il 44% degli intervistati sarebbe un buon modo per ridurre le tasse...#agorarai #sondaggi a cura di @FabrizioMasia1 pic.twitter.com/vqSr7XTl7N
— Agorà (@agorarai) June 25, 2020
Secondo EMG, la scelta tra tagliare le tasse sui consumi e quelle sul reddito divide gli italiani: il 44% preferirebbe un abbassamento dell’IVA, mentre il 37% ritiene invece che sia meglio ridurre l’Irpef (ossia l’imposta sul reddito delle persone fisiche). Un orientamento che magari non determinerà la piega degli eventi futuri in termini di riforma fiscale, ma di cui è nondimeno giusto dar conto.
NOTA: La Supermedia YouTrend/Agi è una media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto, realizzati dal’11 al 24 giugno dagli istituti Demopolis, Demos, EMG, Euromedia, Ixè, SWG e Tecnè. La ponderazione è stata effettuata il giorno 25 giugno sulla base della consistenza campionaria, della data di realizzazione e del metodo di raccolta dei dati. La nota metodologica dettagliata di ciascun sondaggio considerato è disponibile sul sito ufficiale www.sondaggipoliticoelettorali.it.