Il primo test elettorale del 2019 non ha deluso le aspettative: le elezioni regionali in Abruzzo hanno dato un risultato netto, e che – c’è da scommetterci – avrà ripercussioni non solo sulla politica locale ma anche a livello nazionale. Vediamo perché, in cinque punti.
1. LA PARTECIPAZIONE
Nonostante si sia trattato di un voto “isolato”, l’affluenza non è stata troppo bassa. Gli elettori che si sono recati alle urne sono stati il 53,1% degli aventi diritto, in calo di oltre 8 punti rispetto alle precedenti Regionali (nel 2014). In quell’occasione, però, nello stesso giorno si votò per una tornata elettorale nazionale piuttosto importante (le Europee) e per il primo turno delle Amministrative in diversi comuni. Inoltre, cinque anni fa si era in un periodo dell’anno differente (fine maggio) e decisamente più “agevole” per l’esercizio del voto.
Di certo non si sono viste folle oceaniche recarsi ai seggi, ma nemmeno si è trattato di elezioni “fantasma” come le suppletive nel collegio uninominale di Cagliari di qualche settimana fa. Né si tratta di un tasso di partecipazione basso come quello che riguardò le Regionali dell’autunno 2014, quando l’affluenza si tenne nettamente sotto il 50% (addirittura fermandosi al 37% in Emilia-Romagna). Insomma, il voto in Abruzzo è stato un test politico da non sottovalutare.
2. RISULTATI
La vittoria, netta, è andata a Marco Marsilio, candidato della coalizione di centrodestra. Secondo le ultime proiezioni SWG (mentre scriviamo, lo scrutinio è ancora molto indietro) Marsilio avrebbe ottenuto oltre il 47% dei voti, staccando di 17 punti Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm e candidato presidente della coalizione di centrosinistra. Terza con il 20% dei voti Sara Marcozzi, candidata (come 5 anni fa) del Movimento 5 Stelle. Stefano Flajani, candidato di CasaPound, avrebbe ottenuto meno dell’1% dei voti.
Marsilio ha vinto con ampio margine, riportando il centrodestra al governo della regione dopo la vittoria, nel 2014, di Luciano D’Alfonso (centrosinistra), nonostante alle Politiche dello scorso anno la prima forza politica sia stata il Movimento 5 Stelle, arrivato a sfiorare il 40% dei voti. Le polemiche che in campagna elettorale avevano riguardato Marsilio, “reo” di non essere abruzzese al 100%, non gli hanno impedito di diventare il primo governatore in quota Fratelli d’Italia: il partito di Giorgia Meloni, nato nel 2012 da una scissione del PDL, fino ad oggi non aveva mai visto un esponente diventare Presidente di una Regione.
Con questa vittoria, peraltro, l’Abruzzo si conferma la regione “swing” per eccellenza: dal 1995 ad oggi, ossia da quando è stata introdotta la legge elettorale maggioritaria (seguita pochi anni dopo dall’introduzione dell’elezione diretta del Presidente), l’Abruzzo non ha mai confermato la maggioranza uscente in occasione delle Regionali. Per di più, in tutte le precedenti elezioni regionali, l’Abruzzo aveva rispecchiato – se non addirittura anticipato – le tendenze politiche nazionali.
In #Abruzzo, dal 1995 ad oggi, non è mai stata confermata la maggioranza uscente#Abruzzovota #MaratonaYouTrend #maratonamentana #ElezioniAbruzzo pic.twitter.com/ZyEpokdO08
— YouTrend (@you_trend) 10 febbraio 2019
3. LO SFONDAMENTO DELLA LEGA E IL CROLLO DEL M5S
Nel voto alle liste emergono forse le indicazioni più clamorose di queste elezioni. Il primo partito, un po’ a sorpresa, diventa la Lega di Salvini, che raddoppia il risultato (già buono) ottenuto alle Politiche 2018 superando il 26% dei consensi. Risultato importante ma non ottenuto a scapito degli alleati, se è vero che Forza Italia non scompare (pur scendendo sotto il 10%) e che Fratelli d’Italia (partito di Marsilio) ottiene un buon risultato, sopra il 5%.
Nel consenso, la coalizione di centrodestra supera abbondantemente il 40%. Decisamente deludente è invece il risultato del Movimento 5 Stelle, che si ferma intorno al 20% (forse persino sotto): non solo rispetto al – quasi – 40% conquistato lo scorso 4 marzo in Abruzzo, ma persino rispetto al 21,4% ottenuto 5 anni fa, nel giorno in cui il PD di Renzi esplodeva al 40,8% sul piano nazionale. Il confronto è ancora più impressionante se si tiene conto dei voti assoluti: secondo una nostra stima, basata sulle proiezioni di SWG, in meno di un anno in Abruzzo i 5 Stelle sarebbero passati da oltre 300 mila voti a meno di 130 mila, perdendo quasi 6 voti su 10.
#Abruzzo - Come cambiano i voti assoluti rispetto alle Politiche?
— YouTrend (@you_trend) 11 febbraio 2019
Nonostante il calo dell'affluenza, Lega e Fratelli d'Italia guadagnerebbero voti, mentre il Movimento 5 Stelle perderebbe più di metà dei suoi consensi.#Abruzzovota #MaratonaYouTrend #maratonamentana pic.twitter.com/0noUEOZkt5
Questi dati sono molto importanti perché certificano per la prima volta con voti “veri” quello che i sondaggi stavano suggerendo da diversi mesi: e cioè che la Lega si sta effettivamente rafforzando anche nelle regioni del Centro-Sud, persino superando – come già era avvenuto sul piano nazionale – il Movimento 5 Stelle.
La crescita della Lega (anche in voti assoluti, nonostante la minore partecipazione rispetto alle Politiche) e il contemporaneo risultato poco entusiasmante del M5S rischiano di avere serie ripercussioni sugli equilibri del governo nazionale: fino ad oggi erano solo i sondaggi a suggerire che le gerarchie tra i due partiti di maggioranza si fossero invertite rispetto al voto politico del 4 marzo, mentre adesso a certificarlo sono voti “in carne ed ossa”.
È quindi senz’altro possibile che il risultato delle Regionali in Abruzzo contribuirà ad accentuare le differenze tra il partito di Salvini e quello di Di Maio, con effetti imprevedibili sulla stabilità dell’esecutivo (e la coerenza delle sue azioni). Anche perché la somma di questi due partiti, che a Roma sostengono il Governo Conte (e che nei sondaggi nazionali supera il 57% dei voti), in Abruzzo dovrebbe attestarsi ben sotto il 50%, nella stessa regione in cui alle Politiche M5S e Lega avevano ottenuto complessivamente oltre il 53% dei suffragi.
4. IL BICCHIERE MEZZO PIENO (O MEZZO VUOTO?) DEL PD
Il Partito Democratico esce formalmente sconfitto dalle elezioni abruzzesi. Legnini è arrivato secondo rimediando un distacco pesantissimo da Marsilio, e il centrosinistra ha perso il governo di una Regione in cui aveva vinto più volte in passato (1995, 2005 e 2014). Il risultato della lista del PD, che dovrebbe attestarsi di poco sopra il 10%, è molto deludente. Tuttavia, il dato della coalizione contiene degli elementi incoraggianti: le – tante – liste alleate del PD in sostegno di Legnini, molte delle quali civiche, hanno raccolto quasi il 20% dei consensi, conquistando (verosimilmente) i voti di molti elettori di centrosinistra, ma anche di ex elettori che nel 2018 avevano scelto il Movimento 5 Stelle.
E il buon risultato di queste liste ha probabilmente a che fare con l’impostazione della campagna elettorale di Legnini, che si è presentato come un candidato “civico”, senza poter contare (o cercando di nasconderlo?) sul sostegno del Partito Democratico, peraltro alle prese con il suo congresso e quindi privo di una leader nazionale spendibile in una campagna elettorale locale. Difficile dire se il risultato della coalizione di Legnini in Abruzzo implichi che una coalizione di centrosinistra allargato ad altri soggetti diversi dal PD possa essere competitiva anche a livello nazionale: di certo ha dimostrato che in occasione di elezioni locali, siano esse regionali o amministrative (come del resto si è visto anche lo scorso anno), il bipolarismo “classico” fondato sulla contrapposizione centrodestra/centrosinistra è ancora il modello di competizione elettorale prevalente, o perlomeno quello in cui gli elettori tendono ancora a riconoscersi maggiormente.
(Salvatore Borghese)