Sembra essersi fermata la rincorsa del centrodestra, che per diversi mesi era apparsa lenta ma inesorabile. La coalizione Berlusconi-Salvini-Meloni in pochi mesi è riuscita ad arrampicarsi fino a oltre il 37%, anche con l’ausilio di una “quarta gamba”, la lista centrista di Noi con l’Italia che ha riunito varie piccole sigle di centrodestra, per lo più centriste, e che ha contribuito con almeno un paio di punti percentuali.
I dati della Supermedia dei sondaggi di questa settimana sono ben lungi dal rappresentare un campanello d’allarme per il centrodestra, beninteso. Il dato aggregato di coalizione è comunque molto superiore sia a quello del centrosinistra sia a quello del Movimento 5 Stelle, come ci mostra la tabella.
Il partito che fu (?) di Beppe Grillo rimane ancora saldamente in prima posizione, quasi “inchiodato” a un dato (tra il 27 e il 28 per cento) che gli consente di primeggiare come lista singola, ma non di essere competitivo nei collegi con la coalizione di centrodestra. Stesso discorso vale per il PD, che sembra aver arrestato la sua discesa: un mese fa era ancora sopra il 24%, ma da qualche settimana si è stabilizzato sopra il 23. A garantire comunque una certa competitività ai democratici sono le liste minori (tre, finora) con cui correrà in coalizione, e che sono stimati complessivamente quasi al 4% (3,9 per l’esattezza). Sembra soffrire un po’ Liberi e Uguali, che dopo la proposta – per certi versi “shock” – di abolire le tasse universitarie è un po’ scomparso dai radar ed è ferma al 6,4%. Nel centrodestra si conferma tonica Forza Italia (nuovo record “stagionale”, al 16,6%) ma a scapito dei principali alleati: la Lega di Salvini è ormai staccata di oltre tre punti (al 13,2%) mentre Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni scende per la prima volta dopo tanto tempo sotto il 5%, seppur di un soffio.
Cosa possiamo dedurre da questo “assestamento” nelle intenzioni di voto ai partiti? Ben poco, in verità. Non solo perché – come abbiamo ripetuto tante volte – è normale che i sondaggi seguano un andamento altalenante, fatto di salite e discese ma anche di momenti (settimane, nel nostro caso) di “immobilismo”. Ma anche perché siamo ormai arrivati al termine di quella fase della campagna elettorale fatta “al buio”, ossia senza conoscere i nomi dei candidati. Da questo weekend, si inizierà infatti a fare sul serio. E le incognite sul tavolo sono più d’una: vediamo quali.
Prima incognita: il valore dei candidati nei collegi
Mentre i contrassegni dei partiti sono già stati depositati la scorsa settimana, questo weekend è quello decisivo per la definizione delle candidature, che vanno presentate insieme: sia quelle delle singole liste per i collegi plurinominali proporzionali, sia quelle – di coalizione, eventualmente – di chi concorrerà nei collegi uninominali maggioritari. Finora solo il Movimento 5 Stelle ha già pubblicato, in anteprima, i nomi dei suoi candidati, ma solo quelli nei listini proporzionali (che, ricordiamolo, eleggeranno il 64% dei deputati e dei senatori). Ma, comprensibilmente, il nome dei candidati di collegio sarà tenuto nascosto fino all’ultimo momento, per non dare agli avversari il vantaggio di potersi regolare di conseguenza. Come all’inizio di una partita a Risiko, infatti, vi sarà tutto un gioco di strategia a indovinare – anche grazie alle numerose indiscrezioni pubblicate dai giornali in questi giorni – chi sarà candidato in quale collegio, in modo da potergli contrapporre l’avversario più adatto: per contendere la vittoria, ma anche (in molti casi) per massimizzare i voti senza ambire ad arrivare primo nel collegio. L’incognita, regalataci dai complessi meccanismi del Rosatellum, è proprio questa: poiché i voti dati ai candidati dei collegi “trascinano” anche il voto alle liste, per massimizzare il risultato è importante presentare i candidati giusti laddove possono rappresentare un effettivo valore aggiunto, e non dove al contrario possono essere una zavorra per la coalizione.
Seconda incognita: il dato dei partitini
La seconda incognita è data dal dato dei “partitini”: come abbiamo visto la scorsa settimana sono ben 4 le liste che si accompagneranno a partiti più grandi nelle due coalizioni principali (3 col PD, una col centrodestra). Nessuna di queste liste è data, nei sondaggi, al di sopra del 3%, dunque non dovrebbero poter accedere al riparto dei seggi – almeno per quanto riguarda quelli proporzionali: è facile pensare che alcuni loro esponenti otterranno qualche candidatura nei collegi uninominali più “blindati”. Ma, altra diavoleria del Rosatellum, tutte loro sono stimate, per quel che vale, sopra l’1%, cifra che consente di “portare acqua” al dato di lista dei rispettivi alleati di coalizione. Ma cosa accadrebbe se invece una di queste liste superasse il 3%? E cosa accadrebbe al contrario se nessuna di esse superasse l’1%? Nel primo caso, gli alleati avrebbero un problema piccolo: quello di dover cedere una quota di seggi proporzionali anche all’alleato minore, a parità di grandezza della “torta”. Nel secondo, il problema sarebbe ben più grande: i voti alle liste sotto l’1% andrebbero completamente dispersi nella ripartizione proporzionale. Per fare un esempio, al PD spetterebbe non più il 27% circa dei seggi, ma il 23,5 (stando alla Supermedia odierna). Per non dire che ogni voto in meno alla coalizione mette a rischio un numero indefinito di collegi uninominali marginali, cioè dall’esito incerto.
Terza incognita: gli scenari post voto
La terza incognita sarà quella che caratterizzerà – sia pure sottotraccia – tutto il prosieguo di questa campagna elettorale: è quella che riguarda gli scenari post-voto. Il perché si evince facilmente dalle nostre proiezioni sui seggi totali, anche queste basate sulla Supermedia di oggi.
Come si vede bene, anche se il centrodestra si trova nettamente in vantaggio rispetto a centrosinistra (PD) e 5 Stelle, è ancora piuttosto lontano dalla maggioranza assoluta dei seggi (316 alla Camera, 156 al Senato). Cosa succederà se questo dovesse essere il risultato effettivo, la sera del 4 marzo? La variabile da tenere in conto è in questo caso una sola: quanti saranno gli eletti di Forza Italia (e della “quarta gamba” del centrodestra) sommati a quelli del PD. Se questa somma darà luogo a una maggioranza “virtuale”, è ben probabile che verrà tradotta in realtà, con la formazione di un governo di grande coalizione. Ma questo potrà avvenire solo se il PD otterrà più seggi dei partiti di centrodestra “sovranisti” (cioè Lega e FDI). Viceversa, l’unica soluzione possibile sarebbe un ritorno anticipato alle urne. E a quel punto il gioco ricomincerebbe da capo…