Il governo ha pubblicato la bozza di decreto legislativo con l’elenco dei collegi (uninominali e plurinominali) ritagliati dalla commissione tecnica istituita ad hoc, come previsto dalla nuova legge elettorale approvata qualche settimana fa (il Rosatellum).
Non si tratta dell’elenco definitivo: le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato dovranno esprimersi su questa bozza – anche se non in modo vincolante – prima che il Governo possa emanare la versione definitiva.
Le differenze con il Mattarellum
Nonostante si tratti di tabelle provvisorie, è già possibile fare qualche considerazione interessante. Innanzitutto partendo dal numero dei collegi. La legge infatti prevede per la Camera un numero di collegi uninominali pari a 232, lo stesso numero previsto per il Senato dalla legge Mattarella, per cui sono stati utilizzati come base quei collegi (disegnati nell’ormai lontano 1993) per determinare i nuovi.
E confrontando il numero di collegi (nella terza colonna, ‘Differenza’) emergono delle variazioni: in particolare, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna guadagnano due collegi ciascuna, mentre Basilicata, Umbria e Sicilia ne perdono 3, 2 e 1 rispettivamente.
Questa differenza in verità non è inaspettata. Il numero dei collegi infatti risponde a criteri demografici, e la popolazione ha subito delle modifiche dal 1991 (anno in cui fu effettuato il censimento ISTAT sul quale si basò il ritaglio dei collegi nella legge Mattarella) al 2011 (anno dell’ultimo censimento, su cui ci si è basati stavolta). Per questo motivo, risultano “pesare” maggiormente le regioni che hanno conosciuto un aumento della popolazione in questo lasso di tempo.
Dal punto di vista degli effetti “politici”, questa variazione fa registrare un saldo positivo di 3 seggi nelle regioni storicamente più favorevoli al centrodestra (Lombardia, Veneto e Sicilia), mentre il saldo è di uguale entità, ma negativo, in quelle storicamente più favorevoli al centrosinistra (Emilia-Romagna, Umbria, Basilicata).
Le barre colorate della seconda metà del grafico ci dicono inoltre quanti seggi in totale (tra Camera e Senato) sono messi in palio in ciascuna regione. Come si vede, di norma prevalgono i seggi proporzionali – ed è normale che sia così, visto che solo il 36% è assegnato in collegi maggioritari. Ma vi sono alcuni casi particolari: l’unico seggio della Val d’Aosta è assegnato in un collegio maggioritario per entrambe le Camere; in Molise, alla Camera, il rapporto è “rovesciato” rispetto alle altre regioni, con due seggi maggioritari e un solo seggio proporzionale; mentre al Senato vi sarà un unico collegio maggioritario che farà al vincitore anche il seggio proporzionale; anche in Trentino-Alto Adige vi sarà una prevalenza di collegi maggioritari rispetto ai seggi proporzionali.
La mappa dei collegi con il Rosatellum
Collegi uniformi?
Un’altra considerazione che si può fare riguarda la popolosità dei singoli collegi: all’interno di ciascuna circoscrizione (per la Camera) o regione (per il Senato) nessun collegio, per legge, può avere un numero di abitanti che si discosti di più del 20% dalla media degli abitanti dei collegi di quella circoscrizione/regione. Abbiamo controllato questo dato: con l’eccezione dei collegi del Trentino-Alto Adige (che però sono fissati a parte nella legge e non determinati secondo un criterio strettamente demografico), tutti i collegi rientrano regolarmente in questi limiti. Eppure, poiché le soglie sono calcolate secondo un criterio variabile a seconda della circoscrizione/regione, vi sono forti differenze sul piano nazionale: ad esempio, se alla Camera la dimensione media dei collegi (escluso il TAA) è di circa 250mila abitanti, vi sono alcuni collegi con meno di 200mila abitanti (i due del Molise, ma anche uno in Veneto) e molti altri con ben più di 300mila.
Al Senato, dove la media nazionale è di poco più di mezzo milione di abitanti per collegio, gli estremi sono rappresentati, da un lato, dal collegio unico del Molise (con poco più di 300mila abitanti) e da alcuni collegi con poco più di 400mila abitanti (in Puglia e Umbria ad esempio); dall’altro, da collegi “monstre” con oltre 600mila, e in alcuni casi anche 700mila abitanti (come il collegio di Udine e quello di Pescara).
Il sospetto sul Gerrymandering
Infine, veniamo alla domanda che tutti si pongono: sono state fatte operazioni di “gerrymandering”, ossia di ritaglio “scorretto” dei collegi sulla base di considerazioni politiche e non tecniche? A questa domanda, a dire il vero, è difficile rispondere. Se da un lato è vero che nella relazione tecnica con cui il Governo ha accompagnato la bozza di decreto si sottolineano diverse “criticità” nelle scelte effettuate dalla commissione tecnica (che, va ricordato, era un organo di natura non politica e presieduto dal presidente dell’ISTAT), è pur vero che la base da cui si è partiti era rappresentata dai collegi della Mattarella per il Senato, risalenti al 1993.
Vi state chiedendo cosa sia il Gerrymandering? Eccolo spiegato qua
Le inevitabili variazioni rispetto a quella base (necessarie per tenere conto sia dell’evoluzione demografica sia di cambiamenti amministrativi, si pensi a fusioni di comuni o “trasferimenti” in altre province) hanno sempre seguito un criterio oggettivo, a detta della commissione.
Eppure nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione delle tabelle si sono levate molte voci che denunciavano “forzature”: da parte di membri dell’opposizione, ma anche della stessa maggioranza, se è vero che vi sono state tensioni persino all’interno allo stesso Governo, si dice tra Minniti e la Boschi (e lo stesso Renzi alla Leopolda ha detto che la bozza dovrà essere modificata). Il punto, però, è che si tratta di un campo per sua natura strettamente “tecnico”: qualunque proposta alternativa di ridisegno dei collegi (si tratti di uno solo o di buona parte di essi) dovrà essere giustificata da un criterio oggettivo.
Non basterà quindi denunciare presunti danneggiamenti – più o meno intenzionali – alla propria parte politica, bisognerà proporre soluzioni migliori. Altrimenti, il rischio è che si assista ad una contesa dettata da interessi di parte, a danno della credibilità – e del funzionamento – della “regola del gioco” per eccellenza, quale è appunto una legge elettorale.