Le notizie di questi giorni (in certi casi, di queste ore) sul caos istituzionale derivato dalla “mozione di sfiducia” del PD al governatore di Bankitalia Ignazio Visco, avranno certamente degli effetti sul clima di opinione, e quindi anche sulle intenzioni di voto. Attualmente è troppo presto per stimare come si concretizzeranno questi cambiamenti, e probabilmente cominceremo a vedere degli effetti tra una o due settimane. Facciamo quindi il punto su come stanno ad oggi le cose, alla vigilia peraltro di un importante test elettorale come quello dei referendum consultivi in Lombardia e Veneto sull’autonomia.
Poche sorprese
Nella nostra Supermedia dei sondaggi di questa settimana ci sono poche sorprese: come accade da ormai molti mesi, Partito Democratico e Movimento 5 stelle continuano ad alternarsi come due ciclisti che si diano di frequente il cambio in testa ad una corsa per aiutarsi a distanziare gli inseguitori. Questa settimana sono i pentastellati ad essere davanti, anche stavolta per un’incollatura (+0,3% sugli avversari). È allo stesso tempo avvincente – e per certi versi frustrante – assistere settimana dopo settimana a questo continuo scambio “virtuale” di posizioni, sempre per pochi decimali di voto, sempre (e questo è indicativo) ballando intorno al 27 per cento dei consensi.
Sul fronte del centrodestra, si conferma quanto ipotizzato la scorsa settimana, e cioè che in quest’ultimo periodo la crescita in atto da qualche mese si sia sostanzialmente interrotta. Secondo la Supermedia odierna, i tre partiti dell’area (Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia) continuano a valere complessivamente circa un terzo dell’elettorato (32,9%) ma non si registrano variazioni degne di nota rispetto a un mese fa.
Lo stesso non si può dire dei partiti minori. Come il nostro grafico interattivo mostra plasticamente, tutti e tre i soggetti “a rischio” (cioè che ballano intorno all’attuale soglia di sbarramento del 3%) sono in calo. Già la scorsa settimana abbiamo accennato al calo di Art.1 – MDP, che replica quello stesso, preoccupante dato (3,2%) forse proprio a causa degli screzi con Giuliano Pisapia e il fallimento delle prospettive di un unico soggetto plurale alla sinistra del PD. Nella stessa “area”, si segnala il dato peggiore di questo 2017 per Sinistra Italiana, ferma al 2 per cento netto. Con l’avvicinarsi delle elezioni e il riaccendersi delle ostilità (persino in misura maggiore rispetto al solito) i partiti maggiori tendono a riprendersi il centro della scena, e questo penalizza i partiti minori, a meno che questi non si mettano in mostra con iniziative politiche di rilievo. E non è questo il caso dei partiti che coprono l’area più a sinistra.
Alternativa popolare resta fermo
Lo stesso si può dire di Alternativa Popolare, il cui esponente di maggior rilievo, Angelino Alfano, è praticamente scomparso dalla scena: rispetto al periodo in cui era ministro degli Interni – ruolo che ora è passato al molto più “mediatico” Minniti – l’attuale ministro degli Esteri non sembra trovare spazio nell’attuale agenda politico-mediatica nazionale. La presenza di AP ultimamente si è fatta notare ultimamente solo in occasione dello stop alla legge sullo ius soli. Conseguenza: AP non si schioda da percentuali ormai più prossime al 2 che al 3 per cento (questa settimana 2,2%). Se i numeri alle prossime elezioni resteranno questi, il peso di AP sarà inevitabilmente inferiore a quello attuale, anche in caso di permanenza al governo (magari come junior partner di una grande coalizione dominata dai più ingombranti PD e Forza Italia).
Ma concentriamoci sull’appuntamento elettorale di questa settimana: i referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto. Si tratta, in entrambi i casi, di referendum puramente consultivi (quindi non vincolanti) con cui si chiede ai cittadini di entrambe le regioni se sono d’accordo nel chiedere maggiori poteri allo stato centrale. Inevitabile il paragone con il controverso referendum sull’indipendenza della Catalogna tenutosi poche settimane fa. Qui è tutto entro il perimetro della legalità e non c’è uno scontro tra poteri: ma c’è da scommetterci che i risultati di questa consultazione faranno discutere e porranno una serie di temi al centro del dibattito.
I referendum in Lombardia e Veneto
Quali saranno i numeri da tenere d’occhio in questi referendum? Innanzitutto l’affluenza. Le leggi che regolano i referendum consultivi sono diversi tra le due Regioni: ad esempio, quindi, in Lombardia non c’è quorum, mentre in Veneto, perché il referendum sia valido, c’è bisogno che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto (come nei referendum abrogativi). Ed è per questo che gli oppositori del referendum stanno adottando strategie diverse: in Lombardia per il No, in Veneto per l’astensione. Il presidente della Lombardia e promotore del referendum, Roberto Maroni, ha dichiarato che l’obiettivo è superare il 34% di votanti con cui nel 2001 fu approvato con referendum la riforma che modificava il Titolo V della Costituzione, concedendo maggiori poteri alle Regioni (in realtà in Lombardia tale percentuale fu più alta: il 37,3%).
I precedenti più recenti sembrano comunque incoraggianti per i sostenitori della consultazione: al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 l’affluenza fu molto più alta della media nazionale (68%) sia in Lombardia (74,2%) che in Veneto (76,7%). Secondo un sondaggio dell’istituto Demos, i lombardi e i veneti hanno le idee molto chiare: in entrambe le Regioni, la stragrande maggioranza è a conoscenza dell’effettivo significato del voto (chiedere maggiore autonomia solo su alcune materie) ed è in gran parte favorevole ad un aumento dei poteri regionali rispetto allo stato centrale (52 e 57 per cento rispettivamente, contro una media nazionale del 37%).