Può un’elezione fare scalpore per i suoi risultati e allo stesso tempo confermare con precisione (teutonica, è il caso di dire) le previsioni della vigilia? Sì, se si tratta delle elezioni in Germania. Vediamo perché.
Fin dalle settimane – per non dire mesi – che hanno preceduto il voto è stato chiaro che il rinnovo del Bundestag sarebbe stato quasi una formalità: per Angela Merkel si sarebbero spalancate le porte del quarto mandato da Cancelliera. Le uniche incognite riguardavano l’entità esatta del successo della CDU e l’identità del suo futuro alleato di governo: socialdemocratici o liberali?
Eppure, gli esiti sono stati per certi versi sorprendenti. Lo si è capito fin dal pomeriggio di domenica, quando i primi dati parziali sull’affluenza lasciavano presagire un notevole aumento della partecipazione al voto: si parlava di superare l’80%, per la prima volta dal 1998. Così non è stato, ma l’aumento dell’affluenza si è comunque manifestato: ha votato il 76,2% degli aventi diritto, un aumento di quasi 5 punti rispetto al 2013.
L'analisi del voto
I risultati: l’Unione CDU/CSU di Angela Merkel si è confermata il primo partito con il 33% dei voti. Ma è un risultato ben al di sotto delle previsioni più ottimistiche. Alla vigilia del voto i sondaggi lasciavano sperare in un risultato migliore. Soprattutto, il 33% significa un calo di ben 8 punti rispetto al risultato del 2013. Per i cristiano democratici tedeschi si tratta del secondo peggior risultato nella storia. Ma se Atene piange, Sparta non ride (anzi, ha buone ragioni per disperarsi): i socialdemocratici della SPD infatti riescono a ottenere il loro peggior risultato di sempre, un 20,5% che significa allo stesso tempo un calo di 5 punti in 4 anni, una sconfitta bruciante per Martin Schulz e il rischio concreto di non riuscire più ad essere competitivi per governare il paese in futuro.
Il terzo partito, a sorpresa (ma non troppo), è l’euroscettico/xenofobo/populista Alternative für Deutschland. Fondato nei giorni della crisi dell’Euro da un’élite di economisti contrari alla moneta unica perché troppo sfavorevole agli interessi della Germania (sic), in pochi anni si è spostato su posizioni molto più antisistema, cavalcando la crisi dei rifugiati e contrastando le politiche della Merkel in materia di immigrazione. Dopo aver mancato per un soffio l’accesso al Bundestag nel 2013, stavolta ottengono un risultato di tutto rispetto: il 12,6%. Buon risultato anche per i liberali della FDP, guidati da un nuovo leader, il giovane Lindner, che si riscattano dal pessimo risultato di 4 anni fa (quando per la prima volta nella loro storia fallirono l’accesso al Bundestag) superando il 10%. Si confermano la Linke (sinistra radicale) e i Verdi, entrambi intorno al 9%.
I seggi 'extra' salgono alle stelle
Per la prima volta entrano al Bundestag 6 partiti. Ciò ha fatto sì che si sia registrato un numero record di seggi assegnati. In Germania infatti il numero di seggi è variabile: se un partito ottiene nei collegi uninominali più seggi di quanti gliene spettino in base alla ripartizione proporzionale, conserva quei seggi; ma, per non alterare la rappresentanza proporzionale, vengono aumentati anche quelli di tutti gli altri partiti che superano la soglia di sbarramento. Poiché in questo caso la CDU/CSU ha stravinto nella competizione maggioritaria, conquistando ben 231 collegi su 299 pur ottenendo un risultato di lista non entusiasmante (peraltro in presenza di ben altri 5 partiti che conquistano seggi), il numero di extra-seggi è schizzato alle stelle: dai 598 “di base” si è arrivati a ben 709.
Questa volta, pollice su per i sondaggisti
Parlando di risultati, meritano certamente una menzione gli exit poll diffusi subito dopo la chiusura delle urne, alle 18 di domenica: con scostamenti ridottissimi (al massimo di un punto percentuale) hanno fornito immediatamente un quadro che poi si sarebbe confermato nelle ore successive. Così come i sondaggisti vengono messi sul banco degli imputati quando sbagliano, è giusto anche dar loro atto – come accaduto anche in Francia, la scorsa primavera – quando invece fanno un ottimo lavoro.
Torniamo alla situazione dei seggi: quali possibilità si aprono adesso? Sulla carta, le uniche due coalizioni possibili (e politicamente percorribili) per formare un governo erano due: una continuazione della Grosse Koalition CDU-SPD, che avrebbe potuto contare su una maggioranza di 399 seggi; oppure una “coalizione Giamaica”, ossia nero-giallo-verde (i colori di CDU-FDP-Grünen), che avrebbe costituito per varie ragioni un inedito: perché a livello nazionale questi tre partiti non si erano mai coalizzati prima d’ora; e perché il governo federale si è sempre retto su una coalizione tra due partiti al massimo – mentre non è infrequente che a livello di Land si formino governi tripartitici. Non è un caso che, secondo Forschungsgruppe, la prima opzione risultasse decisamente più gradita agli elettori rispetto alla seconda.
In ogni caso, una nuova Grosse Koalition è stata subito esclusa da Schulz, che ha dichiarato la fine dell’esperienza di governo della SPD con la CDU. Ancora una volta (come già nel 2009) la coabitazione in qualità di “azionista di minoranza” sembra aver danneggiato i socialdemocratici più dei loro alleati/avversari. L’unica prospettiva realizzabile a questo punto è una coalizione tra CDU, FDP e Verdi. Angela Merkel ha già dichiarato che i colloqui sono in corso, e che si concluderanno con successo.
Afd ha davvero cambiato i giochi da sola?
Le difficoltà di questo accordo non sono poche: tra liberali e verdi vi sono non poche differenze programmatiche, e la stessa CDU dovrà rivedere le proprie politiche, spostandole su posizioni per certi versi opposte a quelle tenute finora in partnership con la SPD. Eppure, a differenza di quanto si senta ripetere sui media, queste difficoltà non sono dovute all’exploit dell’estrema destra. Se anche AFD avesse ottenuto 5 punti in meno – risultando così il sesto partito – e quei 5 punti fossero stati distribuiti proporzionalmente tra gli altri partiti, il risultato sarebbe stato identico: la CDU avrebbe dovuto scegliere tra SPD da un lato e FDP+Verdi dall’altro. Ciò che ha fatto – comprensibilmente – scalpore è stato il fatto che un partito così anti-establishment come AFD abbia ottenuto tanti voti in presenza di una situazione economica pressoché inattaccabile: con la disoccupazione ai minimi storici e una crescita sostenuta e trainata dall’export, nessuno sembra aver votato guardando alla situazione dell’economia. Tanto è vero che la stragrande maggioranza degli elettori giudica la situazione economica positiva (ancora dati Forschungsgruppe)
Ma allora perché i partiti di governo uscenti hanno perso oltre 13 punti? La risposta è semplice: perché l’economia non è stata né la prima preoccupazione degli elettori (comprensibilmente) né il tema principale della campagna elettorale. Che è stato un altro, e cioè la questione dell’immigrazione.
Di fronte ad un’agenda di governo tollerante verso i flussi migratori, spiccatamente europeista, l’alternativa più credibile per molti elettori è stata rappresentata da un partito euroscettico, ferocemente anti-migranti, per alcuni persino filo-nazista (e l’etichetta di filo-nazista in Germania è quanto di più infamante vi possa essere).
L’attrattività di AFD è stata in questo modo trasversale, come mostrano i flussi curati da Infratest dimap. Da questi emerge che i due partiti maggiori, governando insieme, hanno perso milioni di voti verso chi si è mostrato maggiormente credibile nel rappresentare determinati interessi e categorie.
La distribuzione del voto
Questa diagnosi trova per certi versi una conferma nelle mappe della distribuzione del voto, in cui si nota perfettamente come ciascuno dei 6 partiti abbia delle zone di forze e di debolezza direttamente legate alla propria natura programmatica. Non deve quindi sorprendere (non essendo una novità) la buona performance di SPD e CDU nell’Ovest, né la forza della Linke nell’ex Germania Est o i buoni livelli di Verdi e FDP nelle zone più urbanizzate. Il “boom” di AFD è avvenuto proprio in quelle zone orientali di confine, maggiormente interessate in questi anni dall’arrivo di immigrati provenienti dalla rotta balcanica (la Germania è di gran lunga il paese europeo con il maggior numero di richiedenti asilo accolti entro i propri confini).
I dati (sia Infratest che Forschungsgruppe) mostrano altre caratteristiche sociali dei vari elettorati molto interessanti. Per esempio, scopriamo – ma non è una sorpresa – che i due partiti maggiori, e in particolare la CDU, tengono molto meglio tra le classi più anziane.
Oppure, che AFD ottiene molti più consensi tra gli uomini (16%) che tra le donne (10%).
Anche il tipo di occupazione è interessante: il 17% della FDP tra gli autonomi (Selbständige) è indice del fatto che la FDP ha declinato bene il suo programma business friendly; così come non sorprende il risultato della SPD tra i lavoratori (Arbeiter), settore in cui però è forte proprio la concorrenza di AFD, che qui ottiene un incredibile 19%. Non è la prima volta che un partito di destra si mostra forte proprio tra gli operai, ma in Germania non era mai accaduto a questi livelli.