Quanto vale il partito di Matteo Renzi? Stando alle ultime indiscrezioni, l’ex premier e attualmente “senatore semplice” del Partito Democratico sarebbe ormai pronto a rompere gli indugi e a lanciare ufficialmente la sua creatura, un soggetto politico distinto ed autonomo dal PD. Il primo passo sarebbe la creazione di gruppi parlamentari autonomi, in occasione dell’imminente redde rationem costituito dalla “parlamentarizzazione” della crisi di governo.
È da tempo ormai che Renzi e i suoi sono ai ferri corti con la nuova maggioranza del PD: troppo diversa la linea politica rispetto al segretario Nicola Zingaretti, del tutto assente la comunicazione tra le diverse anime del partito – che sembrano del tutto incapaci di trovare una sintesi, preferendo le schermaglie via Twitter. Piuttosto che continuare in questo clima da “separati in casa”, quindi, sono in molti a pensare che i tempi siano maturi per una separazione, a questo punto consensuale.
L’incognita principale riguarda il potenziale di questo nuovo soggetto, che – sempre secondo le prime indiscrezioni – dovrebbe chiamarsi “Azione Civile”. Al momento, Renzi può contare, in teoria, sulla maggioranza degli eletti iscritti ai gruppi parlamentari democratici, sia alla Camera che al Senato. Un’infografica pubblicata questa mattina su “La Stampa” attribuiva all’ex premier 70 deputati PD su 111 e ben 40 senatori su 51: ciò non sorprende, dal momento che le liste del Partito Democratico per le ultime elezioni politiche sono state redatte quando (gennaio 2018) il segretario era ancora lo stesso Renzi.
Le cose però, sono molto cambiate da allora, a cominciare dal sentimento della “base”. Se è vero che Renzi ha vinto le primarie per la leadership del partito con il 70% sia nel 2013 che nel 2017, già nel corso del 2018 – in particolare all’indomani della tremenda sconfitta del 4 marzo – gli elettori democratici hanno mostrato di preferire un cambiamento. Secondo un sondaggio Ipsos risalente a poco più di un anno fa (luglio 2018), se a contendersi la segreteria fossero stati Renzi e Zingaretti, gli elettori delle primarie avrebbero preferito il governatore del Lazio con il 43%, contro il 32% dell’ex premier.
Più avanti, a dicembre, è stato l’istituto EMG di Fabrizio Masia a tentare una stima del potenziale elettorale di un’ipotetica “lista Renzi”. Secondo questo sondaggio, solo il 10% degli elettori avrebbe preso in considerazione di votare per questo nuovo partito (di cui solo il 4% con certezza). Tra gli elettori del PD questa percentuale saliva al 38% (di cui il 15% certi): una quota consistente, ma comunque minoritaria. Va detto che cifre simili – che parlavano di un potenziale elettorale attorno al 10%, perlopiù proveniente da elettori del Partito Democratico – erano state rilevate, giusto un anno prima, anche per quella che poi è stata Liberi e Uguali, la lista unitaria di sinistra guidata da Piero Grasso e che comprendeva anche gli ex PD Bersani, D’Alema e Speranza. Ma, alle elezioni, quella lista si fermò poco sopra il 3%, a testimoniare come in questi casi le stime sul potenziale elettorale possano essere fuorvianti quando si parla di nuovi soggetti.
Un’ulteriore misurazione, ancora meno benevola nei confronti del progetto renziano, è quella realizzata da Euromedia lo scorso febbraio. Secondo l’istituto di Alessandra Ghisleri, solo un elettore del PD su quattro avrebbe gradito un’eventuale scissione da parte di Renzi (e la quota di chi avrebbe apprezzato “molto” era quasi irrilevante: il 2,9%).
Quanto potrebbe valere, in definitiva, questo partito? Se stiamo alle stime di EMG, una lista renziana potrebbe puntare ad arrivare al 10%, potendo contare su uno “zoccolo duro” intorno al 4%. Molti di questi – a giudicare sia dai dati EMG che da quelli Euromedia – sarebbero voti provenienti da attuali elettori democratici. E dagli altri partiti? A giudicare da questi numeri, questa lista avrebbe ben poco appeal al di fuori del bacino PD.
La cosa non dovrebbe sorprendere, dal momento che lo stesso Matteo Renzi non è – ormai da molto tempo – una figura politica che gode di un consenso trasversale, come lo fu nel periodo 2013-2014: nel suo ultimo Atlante Politico, l’istituto Demos diretto da Ilvo Diamanti quantifica in meno di uno su quattro (23%) la quota di italiani che esprime un giudizio pari o superiore alla sufficienza nei confronti dell’ex premier. Certamente, in passato c’è stato un tempo in cui, fondando un partito nuovo, Matteo Renzi avrebbe potuto aspirare a raccogliere percentuali significative. Oggi, non è più così.
Salvatore Borghese