Dopo i due turni delle elezioni presidenziali che hanno incoronato Emmanuel Macron nuovo presidente, la Francia torna dal voto questa domenica per il primo turno delle elezioni legislative, che eleggeranno la nuova Assemblea Nazionale (la Camera dei deputati francese). Oltre 47 milioni di francesi sono chiamati a scegliere i 577 deputati dell'Assemblea Nazionale. Imponenti le misure di sicurezza: 50 mila agenti sono mobilitati per proteggere i 67 mila seggi del paese.
Un mese fa, la vittoria di Macron alle presidenziali fu la certificazione di qualcosa che analisti e sondaggi avevano già segnalato da tempo: lo sbriciolamento del tradizionale sistema politico e partitico francese. Fin dalla nascita della cosiddetta “Quinta Repubblica”, inaugurata dal generale De Gaulle nel lontano 1958, a contendersi la presidenza e il governo del paese sono stati due soggetti: il partito di centrodestra (gollista o neogollista) e quello socialista, di centrosinistra. Macron ha rivoluzionato questo schema: da ex ministro del governo socialista di Hollande si è “messo in proprio”, fondando un nuovo movimento di ispirazione liberale e centrista (“En Marche!”) e arrivando a intercettare i consensi di tutti i francesi moderati, di destra e di sinistra, spaventati da una possibile vittoria di Marine Le Pen e del suo Front National, di estrema destra.
Come funziona il sistema francese
Il sistema di elezione diretta del presidente della repubblica, con un ballottaggio tra i due candidati più votati, ha sempre garantito che a governare la Francia ci fosse un presidente eletto dalla maggioranza dei cittadini. Ma questo sistema aveva un limite: il primo ministro e il governo, nominati dal presidente, devono avere la fiducia del parlamento; e se un partito diverso da quello del presidente ottiene la maggioranza in parlamento, si viene a creare la cosiddetta “coabitazione”, il ruolo del presidente si fa più marginale ed è il primo ministro a guidare il governo. Per limitare il più possibile queste situazioni, una riforma del 2005 ha accorciato la durata del mandato presidenziale da 7 a 5 anni. Ora le elezioni per il parlamento si tengono un mese dopo quelle per il presidente, favorendo l’elezione di una maggioranza “presidenziale”.
E qui si nascondeva l’insidia più grande per Macron: quella di non avere un partito strutturato, con la possibilità di schierare candidati competitivi in tutti i collegi. Come in Gran Bretagna infatti, anche in Francia i parlamentari sono eletti in collegi uninominali. Non avere un partito strutturato vuol dire anche non avere dei candidati conosciuti e competitivi sul territorio. Nonostante il pessimo risultato delle presidenziali, principalmente a causa dei candidati (Hamon con il suo scarso carisma, Fillon con i troppi scandali che lo hanno riguardato), i socialisti e i repubblicani si preparavano a competere per conquistare nuovamente la maggior parte dei collegi, giocando una campagna elettorale in equlibrio tra rivendicazione delle loro proposte e affinità con il nuovo presidente. Molti osservatori si erano spinti addirittura a preconizzare la fine del mito del sistema francese, con un presidente senza partito preso in ostaggio da un parlamento frammentato.
Per Macron più consensi che al primo turno
Con il passare delle settimane, però, i sondaggi hanno cominciato a raccontare una storia diversa. I candidati di En Marche, evidentemente, non dovevano soffrire poi così tanto la mancanza di radicamento: le intenzioni di voto verso il movimento di Macron sono salite fino a superare abbondantemente i voti che il neo-presidente aveva raccolto al primo turno (il 24% circa dei suffragi). Ad oggi, tutti gli istituti di sondaggio stimano un consenso verso i candidati di En Marche intorno al 30%, se non superiore. I candidati repubblicani, che nel 2012 da soli avevano raccolto il 27% dei voti, stavolta si fermerebbero poco sopra il 20%, insieme ai loro alleati minori. Ancora peggio andrebbe ai candidati socialisti, che cinque anni fa erano stati il primo partito con il 29%, raccoglierebbero stavolta solo il 9%. Gli unici a far registrare un miglioramento sarebbero i candidati dei partiti agli estremi: a sinistra quelli della federazione di Mélenchon, La France Insoumise; e a destra quelli del Front National, che però otterrebbero meno voti di quanti ne ottenne Marine Le Pen alle presidenziali, fermandosi tra il 17 e il 18%.
Come si rifletterà questo sulla composizione dell’Assemblea Nazionale? Trattandosi di un sistema con collegi uninominali, peraltro a doppio turno, si possono solo fare delle ipotesi. Eppure, il vantaggio di En Marche nei sondaggi e la sua competitività nel doppio turno (poiché verosimilmente molti dei voti degli esclusi al primo turno convergeranno sui candidati presidenziali) fanno sì che le stime fatte finora disegnino un quadro estremamente favorevole per Macron. Come mostra la nostra infografica, i candidati del suo movimento (e degli alleati minori del MoDem) potrebbero ottenere da un minimo di 320 a un massimo di oltre 420 seggi. Molti di più dei 292 necessari per una maggioranza. La prima opposizione in parlamento sarà verosimilmente rappresentata dal centrodestra repubblicano: questo vuol dire che sotto la presidenza Macron il partito socialista rischierà seriamente la marginalizzazione definitiva dalla scena politica. L’estrema sinistra è già “presidiata”, e per il partito che fu di Mitterrand e Jospin restare schiacciato tra Macron e Mélenchon potrebbe risultare fatale.