La notizia di questa settimana è questa: non c’è un “effetto Di Maio”. E se c’è, è negativo. Alla luce dei numeri che emergono dalla nostra Supermedia settimanale dei sondaggi, possiamo affermare che le recenti primarie con cui Luigi Di Maio è stato scelto ufficialmente come candidato premier del Movimento 5 stelle non hanno avuto effetti benefici sulle intenzioni di voto nei confronti del partito fondato da Beppe Grillo. Anzi, se un effetto c’è stato, questo sembra essere addirittura negativo. Ma su questo è bene andare cauti perché, come amano ripetere gli studiosi, “correlation is not causation”: ossia, non è detto che il calo fatto registrare dal M5S sia una diretta conseguenza delle suddette primarie.
Cosa dicono i numeri
Però un calo effettivamente c’è stato. Ce lo dicono i numeri: la media mobile odierna (basata, ricordiamolo, sui sondaggi pubblicati nelle ultime due settimane) ci dice che al primo posto c’è il Partito Democratico con il 27,3% dei consensi. Il Movimento 5 stelle è al secondo posto, staccato in realtà di pochissimo, meno di mezzo punto. Ma si tratta della prima volta, in questo 2017, che la nostra Supermedia registra per il M5S un consenso inferiore al 27%. Poiché abbiamo a disposizione ormai una gran quantità di numeri a disposizione, possiamo affermare con certezza che dopo fine giugno (all’indomani dei risultati definitivi delle Comunali, il cui bilancio per il Movimento non è stato entusiasmante) i grillini sono calati da un valore prossimo al 29% a uno di circa due punti inferiore, con impressionante regolarità.
Chi ci guadagna?
Chi ha beneficiato di questa “emorragia” di voti? (Le virgolette sono d’obbligo, trattandosi di un paio di punti percentuali: nulla cui una buona campagna elettorale non possa facilmente rimediare) Facile rispondere: il centrodestra. Stante l’immobilità del PD, che praticamente da maggio rimane “incollato” al M5S (in lieve vantaggio o in altrettanto lieve svantaggio), ad essere cresciuto è il centrodestra. Probabilmente è ancora presto per considerare Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia come un unico soggetto politico: il cammino della nuova (?) legge elettorale è appena iniziato e non è affatto scontato che alle prossime elezioni questi tre partiti si presenteranno in coalizione. Ma di certo, se considerati in blocco, sono oggi l’area politica più consistente, pari a circa un terzo degli elettori (per l’esattezza il 33,1%). Forza Italia replica al decimale il valore della scorsa settimana, il più alto da inizio anno (13,8%). Anche Lega e FDI sono vicini ai loro valori massimi di questo 2017.
La tabella di questa settimana ci fornisce anche una (parziale) panoramica sui “micro-partiti”, in particolare su due soggetti di cui le cronache politiche hanno parlato spesso nei mesi scorsi: il movimento di Giuliano Pisapia (“Insieme”) e quello animalista fondato – con la “benedizione” di Silvio Berlusconi – da Michela Vittoria Brambilla.
Va premesso che sono ancora troppo pochi gli istituti di sondaggio che includono questi partiti tra le opzioni nei loro questionari sulle intenzioni di voto. Il Movimento Animalista è stato inserito solo da due settimane nel sondaggio settimanale condotto da EMG per il Tg di La7. Ed entrambi, quando vengono rilevati, non ottengono mai percentuali significative. Per questo, spesso finiscono nella voce “Altri partiti” insieme ad altre liste minori.
Perché il ruolo dei micropartiti è importante?
La risposta è nella legge elettorale attualmente in discussione, il cosiddetto “Rosatellum bis” (LINK ARTICOLO AGI). Questa legge prevede una soglia di sbarramento “ufficiale” del 3%, che ad oggi sembra condannare questi soggetti a restare fuori dal Parlamento. Eppure, similmente a quanto avveniva ai tempi del Porcellum, anche il loro peso potrebbe contare, e perfino essere decisivo: il Rosatellum bis infatti prevede che i voti dei partiti che non superano il 3% ma che ottengono almeno l’1% concorrano ad aumentare il “bottino” dei partiti principali della coalizione. Da questo punto di vista, sia Pisapia che la Brambilla potrebbero tornare utili rispettivamente al Partito Democratico e al centrodestra come liste in grado di evitare la “dispersione” dei voti. In cambio, potrebbero contrattare qualche candidatura nei collegi uninominali con buone possibilità di vittoria, cosa che difficilmente otterrebbero correndo da soli.
Insomma, per guardare agli scenari delle prossime elezioni bisogna guardare non solo ai “grandi” ma anche a ciò che fanno i “piccoli”…