L'Armenia ha cancellato un accordo siglato con la Turchia e così fallisce definitivamente il tentativo di normalizzare le relazioni tra i due paesi. La firma dei protocolli di Zurigo nel 2009 avevano l’obiettivo di ripristinare piene relazioni e aprire il confine condiviso.
ll presidente Serzh Sargsyan ha dichiarato che l'Armenia ha fatto tutto il possibile "per non lasciare il peso della risoluzione delle relazioni sulle spalle delle generazioni future", aggiungendo che "la Turchia non ha fatto alcun passo per la ratifica e implementazione". Da parte sua Ankara ha sottolineato che i protocolli erano stati sottoposti a tempo debito alla Grande Assemblea Nazionale per essere approvati e che nel frattempo diverse misure sono state adottate per rafforzare la fiducia reciproca, incluso l’apertura della rotta Istanbul-Yerevan.
È tuttavia esemplificativo che le negoziazioni si erano concluse quasi subito con la sostanziale bocciatura dei Protocolli da parte della Corte Costituzionale armena, che ha posto precondizioni inaccettabili per Ankara. Nel rapporto del 10 gennaio 2010 è riportato che "la repubblica di Armenia richiede espressamente alla Turchia il riconoscimento del genocidio avvenuto nel 1915 nella Turchia ottomana e nell’Armenia Occidentale".
In realtà la questione dei protocolli è l’ultima fase di una situazione di impasse, poiché riconoscere i crimini del 1915 come "genocidio" è un’opzione impensabile in quanto tocca corde molto delicate per la psicologia del Paese. Ovviamente a complicare il quadro rientra anche la questione dell’ormai congelato conflitto del Nagorno-Karabakh e dell’amicizia tra Ankara e Baku.
Il Nagorno-Karabakh è il conflitto regionale più vecchio nello spazio post-sovietico, dovuto all’occupazione militare dell’Armenia nelle regioni circostanti il Nagorno-Karabakh e alla strenue opposizione dell’Azerbaijan a porre ogni compromesso riguardo la propria integrità territoriale.
Le tensioni sono l’esito di una profonda e duratura ostilità tra due Stati confinanti che hanno dato la priorità alla riacquisizione delle terre come materia di dignità nazionale. İn tale prospettiva né l’Azerbaijan né l’Armenia sembrano disposti ad abbandonare questa causa in cambio di una maggiore sicurezza militare o di un guadagno economico.
Senza entrare nel merito della questione, è doveroso menzionare che sin da subito Ankara, allineandosi sulla posizioni del partner turcofono, ha chiuso i suoi confini con l’Armenia per esercitare pressioni su Yerevan. Sebbene questo aspetto non sia incluso nei protocolli, la Turchia vincola la riapertura dei confini alla soluzione del conflitto. In definitiva la Turchia non risolverà la questione se le autorità armene e quelle azerbaigiane non avvieranno un dialogo diretto.
Insomma anche se il processo sembrava essere destinato al fallimento sin dalle battute, con esso cade anche l’ultimo tassello della strategia ‘zero problemi con i vicini' varata dall’allora ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu.
Certamente la piena normalizzazione avrebbe risvolti molto importanti non solo per i riflessi economici dell’apertura del confine, ma anche perché scioglierebbe una volta per tutte il nodo cruciale rappresentato dal riconoscimento del genocidio da parte di molti Stati. Le recenti mozioni della Knesset (il parlamento) israeliana e della Camera olandese sono l’ennesima prova di quanto la questione sia divisiva.