Cuori capienti, cuori nobili, di pietra, tristi, spezzati, cuori assassini. Madri che si perdono e non riconoscono più i loro figli, come nel libro “Il bambino della notte. Divenire donna divenire madre”, della psicoterapeuta Vegetti Finzi, in cui l’analista fa parlare l’inconscio e il "bambino della notte" sembra svanire di fronte al figlio reale, del "bambino del giorno". Lo stemma della maternità non viene traferito dalle proprie madri alle proprie figlie. Uno spazio da riempire, un vuoto da colmare, in cui imparare a vivere, spesso da sole, con discese e risalite.
La maternità viene vissuta nella propria complessità biologica e simbolica, in cui si svela l'eterno conflitto tra i sessi sul potere di generare vite, determinando una crisi di identità femminile, di fronte a nuove responsabilità poste dalla stessa procreazione.
30.1.2002. Cogne. “Mamma, mamma, non uscire. Stai qui con me”. Un pianto interminabile, a tratti disperato, quello del piccolo Samuele Lorenzi. Ma quel pianto è troppo forte, fa impazzire, disturba, scuote, muove le mani, che in quel momento cercano affannose un oggetto con l’anima di rame, fatto di una lega di morte, che colpisce ed interrompe la vita. All’improvviso l’inferno! Dalla culla alla tomba il passo è breve. Dietro di sé, quella gelida mattina d’inverno, Annamaria Franzoni lascerà dormire la morte, sotto il grande piumone insanguinato.
Con la valigia di Annamaria Franzoni compirò un faticoso viaggio nella sua scrittura, per quegli irti sentieri che si inerpicano su per le montagne della Val d’Aosta, in mezzo a quegli oscuri boschi, in cui si sono perse le tracce di una madre tutelante, trasformatasi in un’infanticida, senza memoria, di suo figlio Samuele, considerata dalla legge l’unica colpevole di quell’efferato delitto.
Una scena del crimine che ci mostra un ambiente pulito, ordinato ed organizzato. Nulla è lasciato al caso. Una perfetta donna di casa. Festicciole e torte fatte con le proprie mani per i compleanni dei suoi bambini e di suo marito Stefano Lorenzi. Tutto buono e tutto sano. Troppo prefetto e senza macchia! I compiti, la merenda, le biciclette che corrono veloci e Annamaria Franzoni che grida “attenti bambini che vi fate male e poi vi sporcate tutti i vestiti di fango”.
Quelle due comuni parole, male e fango, all’improvviso investiranno quella baita, costruita dai coniugi Lorenzi, mattone su mattone, dove il male d’emblée possiederà ed abiterà quelle nere stanze, trascinando nel fango la loro bella famiglia italiana. Un indice medio di grandezza e larghezza, si registra nel testo grafico manoscritto dalla Franzoni, indicativo di chi ha imparato a non sognare più, se non in momenti isolati, come si rileva dalle lettere maiuscole del suo nome e cognome che si caratterizzano da moderati movimenti di respiro, espressi da anellature che raccordano il dentro e il fuori, in cui ritorna il sogno e il desiderio di una vita in cui si respira, si spazia e si continua a crescere, senza zavorre né doveri.
Fra lettere e parole il rapporto è stretto, di chi recita un copione che ha imparato a memoria, mostrando un’apparente disponibilità, apertura e fiducia. Non si adatta facilmente ai modelli altrui, tende a ripetere e a seguire sempre le proprie controfigure, avvitandosi su stessa, sentendosi stringere la gola e mancare l’aria. La scrittura mostra un’inclinazione grafica a sinistra, di colei che cerca il consenso nel suo passato e nella propria famiglia d’origine, come se camminasse in avanti guardando indietro.
Grafia prevalentemente legata, di chi sa essere affidabile e vivere in gruppo, in cui però è sempre lei a decidere la rotta ed orientare il timone. Ritmo monotono, dal movimento inchiodato, di chi è tendenzialmente ripetitiva ed abitudinaria, non regge grossi carichi di lavoro e ha difficoltà a farsi aiutare.
Un pigiama, un paio di zoccoli e diciassette ferite mortali hanno chiuso il cerchio della vita, spalancandolo all’angelo della morte.