Articolo aggiornato alle ore 12,00 del 12 agosto 2018.
Il Sole è la nostra stella, quella a noi più vicina e quella più importante per noi perché la nostra vita dipende dall’energia che gentilmente ci fornisce da circa 5 miliardi di anni. Tuttavia, non possiamo dire di conoscere a fondo il suo comportamento sia quando è calmo, sia quando produce fantasmagoriche esplosioni che liberano fiumi di particelle nello spazio interplanetario. Poi c’è il mistero del riscaldamento della corona solare, una sfera di gas caldissimo (tecnicamente si parla di plasma perché il gas è completamente ionizzato) che circonda il Sole e si può vedere solo durante le Eclissi. Curiosamente, la corona risulta essere molto più calda della superficie della stella: cosa la scalda in modo così efficiente?
Le osservazioni faticano ad essere inserite in un modo soddisfacente in un quadro teorico generale e questo ci impedisce di tracciare il funzionamento della nostra stella. La non comprensione del comportamento del Sole, poi, è un ostacolo allo studio dell’evoluzione stellare, cioè del comportamento di tutte le stelle che compongono la nostra Galassia e tutte le altre galassie dell’Universo.
Studiare il Sole ha dunque una doppia valenza. È importante a livello locale, per capire a fondo le interazioni tra lo “stato” del Sole e la Terra (e non farci sorprendere da scatti di rabbia elettromagnetica che potrebbero fare molto male alla nostra società tecnologica). È importante a livello generale perché il Sole è una stella e il suo comportamento, se capito, può essere generalizzato alle altre stelle.
Per questo la NASA ha lanciato il Parker Solar Probe, una sonda poco più grande di un’auto che vuole avvicinarsi al Sole come nessuno ha mai osato fare.
La sonda non è enorme ma ha avuto bisogno di uno Atlas 4, il più potente lanciatore disponibile per la NASA, che l'ha messa in orbita intorno al Sole. Seguite il grafico con la traiettoria: il primo passaggio ravvicinato sarà a circa 15 milioni di km dal Sole, un terzo della distanza Sole Mercurio. Saranno poi ripetuti flyby intorno a Venere che modificheranno l’orbita riducendone le dimensioni e facendo via via avvicinare il perielio al Sole. Dopo 7 flyby l’orbita durerà 88 giorni e passerà ad appena 6 milioni di km dal Sole.
Dovendo inserirsi in un’orbita così precisa, la missione ha delle finestre di lancio ben definite e al primo tentativo di sabato 11 agosto, degli ulteriori controlli, che si sono resi necessari durante il countdown, hanno fatto perdere il treno. Sembrava che si riuscisse a lanciare una manciata di secondi prima della chiusura della finestra invece un nuovo arresto della sequenza di lancio ha causato il ritardo di 24 ore. Oggi non ci sono stati intoppi e la sonda è partita.
Eugene Parker ha aspettato oltre 50 anni questo momento e un giorno in più non fa differenza. Lui è lì a Cape Canaveral e, per passare il tempo, forse pensa a quando le riviste scientifiche non volevano accettare di pubblicare i suoi lavori “rivoluzionari” dove sosteneva che il Sole emette particelle che riempiono lo spazio interplanetario. E’ stato lui che ha teorizzato l’esistenza del vento solare ed è per questo che la NASA ha deciso di dedicare una sonda ad una scienziato ancora vivente. E’ la prima volta che ciò succede, ma Eugene Parker se lo è ampiamente meritato.
Il primo problema della missione che vuole studiare il riscaldamento della corona solare è non farsi friggere dal calore del Sole.
È fornita di uno scudo termico in fibra di carbonio e “vuoto” che la deve proteggere dalla temperatura che fa fondere l’acciaio. Una sfida tecnologica molto difficile considerando che il successo della sonda dipenderà proprio dal far funzionare i suoi strumenti in un ambiente arroventato dove nessuno si è mai avventurato.